Come e perché invecchiamo? Nuove scoperte sui processi dell'invecchiamento
I meccanismi di invecchiamento sono coerenti tra specie lontanamente imparentate.
Nei prossimi decenni, stime demografiche alla mano, la popolazione italiana sarà composta in gran parte da persone anziane. Ragione in più per riservare spazio e attenzione agli studi scientifici che si occupano di comprendere meglio il fenomeno dell’invecchiamento, anche dal punto di vista biologico.
In questa prospettiva si è mossa una recente ricerca (pubblicata su “Nature”) che, analizzando l’influenza dell’età che avanza sui processi cellulari di cinque specie viventi molto diverse tra loro (esseri umani, moscerini della frutta, ratti, topi e vermi), ha potuto evidenziare il verificarsi di molti fenomeni in comune tra esse. Lo studio è stato realizzato da un gruppo di ricercatori del dipartimento Cluster of Excellence on Cellular Stress Responses in Aging-associated Diseases (CECAD), della University of Cologne (Colonia, Germania), coordinati da Andreas Beyer. L’importanza dei risultati ottenuti, che potrebbero contribuire a spiegare le cause dell’invecchiamento e suggerire rimedi su come invertirlo, è tale da far dichiarare a Lindsay Wu, biochimico all’Università del New South Wales (Sydney, Australia), che con essi “si apre una nuova area fondamentale per capire come e perché invecchiamo”.
In generale, l’invecchiamento degli animali è caratterizzato dal decadimento qualitativo di una serie di processi molecolari all’interno delle cellule (mutazioni genetiche più frequenti, estremità dei cromosomi che si spezzano, rendendoli più corti, ecc…). Finora, molte ricerche si erano concentrate sugli effetti dell’invecchiamento sull’espressione genica, ma pochi avevano indagato su come esso influisce sulla “trascrizione” (il processo con cui l’informazione genetica viene copiata da un filamento di Dna di base alle molecole di Rna). Proprio per esplorare questo secondo aspetto, dunque, Beyer e i suoi colleghi hanno deciso di analizzare i cambiamenti di trascrizione a livello di genoma in cinque tipi di organismi: vermi nematodi, moscerini della frutta, topi, ratti ed esseri umani, a diverse età adulte.
In particolare, i ricercatori hanno provato a misurare come l’invecchiamento modificasse la velocità con cui l’enzima che guida la trascrizione (Rna polimerasi II – Pol II) si muoveva lungo il filamento di Dna mentre produceva la copia di Rna. Ebbene, si è potuto verificare che, in media, Pol II è diventata più veloce con l’età, ma meno precisa e più soggetta a errori in tutti e cinque i gruppi. “Abbiamo riscontrato – sottolinea Beyer – un maggior numero di discrepanze tra le letture e il genoma di riferimento”.
Poiché studi precedenti avevano già dimostrato che la restrizione della dieta e l’inibizione della segnalazione dell’insulina possono ritardare l’invecchiamento, prolungando di fatto la durata della vita in molti animali, Beyer e colleghi hanno voluto analizzare se queste misure avessero qualche effetto proprio sulla velocità di Pol II. In effetti, nei vermi, nei topi e nei moscerini della frutta che presentavano mutazioni nei geni di segnalazione dell’insulina, Pol II ha mostrato di muoversi a un ritmo più lento. L’enzima operava più lentamente anche nei topi che seguivano una dieta ipocalorica.
Ma il quesito fondamentale, alla fine, era se i cambiamenti nella velocità di Pol II potessero influire realmente sulla durata della vita. Per trovare risposta, Beyer e il suo gruppo hanno monitorato la sopravvivenza di moscerini della frutta e vermi portatori di una mutazione che rallentava Pol II. Ebbene, è emerso che questi animali vivevano dal 10 al 20% in più rispetto alle loro controparti non mutanti. La controprova si è avuta quando i ricercatori, usando l’editing genico, hanno provato ad invertire le mutazioni nei vermi: la durata della vita di quegli animali si è ridotta. “Questo – ha commentato Beyer – ha davvero stabilito una connessione causale”.
I ricercatori, poi, hanno voluto ulteriormente approfondire la questione se l’accelerazione di Pol II potesse essere spiegata da cambiamenti strutturali nel modo in cui il Dna è impacchettato all’interno delle cellule. Va infatti ricordato che, nelle nostre cellule, per ridurre al minimo lo spazio occupato, gli enormi filamenti di Dna sono strettamente avvolti intorno a particolari proteine dette “istoni”, che quindi formano fasci chiamati “nucleosomi”. Ebbene, analizzando cellule polmonari umane e cellule della vena ombelicale, Beyer e colleghi hanno scoperto che le cellule invecchiate contenevano meno nucleosomi, rendendo più agevole il percorso di Pol II. Quando poi l’équipe ha aumentato l’espressione degli istoni nelle cellule, Pol II si è mosso a un ritmo più lento. Nei moscerini della frutta, i livelli elevati di istoni sembravano aumentare la durata della loro vita.
Questo studio dimostra come i meccanismi di invecchiamento siano coerenti tra specie lontanamente imparentate. In particolare, esso apre la strada all’esplorazione di come Pol II possa essere un bersaglio per farmaci che rallentino il processo di invecchiamento. Le alterazioni del processo di trascrizione di Pol II, del resto, sono implicate in molte malattie (tra cui vari tipi di cancro) e già sono stati sviluppati diversi farmaci che hanno come bersaglio Pol II e le molecole che lo facilitano. Si attendono dunque futuri sviluppi… nella speranza di poterne usufruire in tempo!