#iorestoacasaepenso. Gli ammalati al tempo del Coronavirus. Quali gesti, quali sacramenti, quale accompagnamento nella sofferenza e nella morte?
In questi giorni di pandemia da Coronavirus stiamo vivendo un senso di smarrimento e di incredulità vedendo immagini e ascoltando notizie di tanti malati e di tanti morti; la sicurezza dell’Occidente, consolidata da molti anni di benessere e di buona organizzazione sociosanitaria, ha iniziato a presentare qualche sfaldamento e a tratti persino angoscia alla consapevolezza di un’assenza di cure specifiche.
L’unica cura la quarantena, come nel Medio Evo! La libertà messa in discussione per il bene di tutti!
Sono un medico neurologo con 40 anni di esperienza sanitaria, ho studiato teologia alla facoltà teologica di Padova, ho due figli e un nipote medici ospedalieri, un fratello medico di base attualmente tutti “in trincea” per usare un linguaggio bellico.
Come medico credente, tenendo conto dell’imbarazzo con cui di solito negli ospedali si affronta l’opportunità di chiamare il presbitero per un ammalato in pericolo di vita, vorrei dire poche parole sulla confessione e soprattutto sull’unzione degli infermi che viene chiesta prevalentemente quando i pazienti non sono più coscienti.
Purtroppo la privatizzazione della fede e il venir meno del senso del peccato ci sta togliendo la grande risorsa della forza consolatoria e sanante della grazia dei sacramenti della carità e della fraternità ecclesiale e ci lascia soli nel momento in cui è più forte la tentazione di sentirsi abbandonati persino da Dio.
A causa della paura e del reale pericolo del contagio in questa pandemia si rischia di restare ancora più soli anche se ben curati e assistiti e persino attaccati al respiratore, finché ce ne saranno per tutti!
Il sacramento dell’unzione degli infermi è uno dei sacramenti medicinali insieme al sacramento della penitenza e al viatico, tutti e tre insieme rappresentano il tocco di Gesù, che perdona, unge e nutre l’uomo ammalato.
La grazia di questo sacramento consiste nell’accogliere in noi Cristo medico, un medico che non resta fuori dalla sofferenza, la allevia venendo ad abitare in colui che vive la malattia.
Nella solitudine della malattia e nel pericolo della morte il cervello inesorabilmente incalza con pensieri di bilanci della vita e questo processo richiede il grande bisogno del perdono che come l’acqua viva annunciata alla Samaritana rinvigorisce e dà la forza nell’agone finale.
La Chiesa, come Maria ai piedi della croce e le tante madri dei “soldati in guerra”, deve trovare il modo di farsi sentire presente agli ammalati, ai sofferenti e ai moribondi, anche in maniera virtuale, ma per questo non meno efficace per consolare portando a tutti, eroi e caduti, Cristo il solo pastore che conosce le sue pecore e la chiama per nome una per una.
Gerlando Volpe, neurologo
27 marzo 2020