#iorestoacasa. "Un tempo per ritrovare le emozioni". La pedagogista Barbara Rossi aiuta a cogliere i lati positivi per le famiglie con bambini
La pedagogista Barbara Rossi dà una lettura positiva sull’isolamento delle famiglie con bambini come veicolo di esperienze trascurate, a partire dalla relazione e dalla narrazione
È un tempo mai visto quello che stiamo vivendo in questi giorni complicati. La quotidianità destrutturata all’improvviso dall’emergenza del contagio si fa sentire in primo luogo nelle famiglie con figli piccoli che, di punto in bianco, si ritrovano a dover gestire una routine drasticamente (qualcuno direbbe: drammaticamente) differente con lavoro a distanza (per chi se lo può permettere), figli a casa da scuola, lezioni digitali e nonni da tutelare.
Le nuove abitudini imposte dal contenimento dell’epidemia modificano le giornate dei bambini della scuola d’infanzia e della primaria, con il loro forte desiderio di socialità e l’innata necessità di avere punti fermi nella suddivisione delle ore frustrati dall’isolamento tra le pareti domestiche. Barbara Rossi, docente di pedagogia e didattica generale all’Istituto di scienze religiose di Milano, osserva tutto questo da un’interessante angolatura che amplia la prospettiva, con l’intento di attivare riflessioni positive e risorse creative che possano venire in aiuto, affinché questo non sia un tempo sprecato con un tablet perennemente in mano o la televisione mai spenta.
«In queste settimane il nostro tempo sta assumendo una nuova fisionomia e dobbiamo liberarci dall’idea errata che sia tempo buttato o perso, perché abbiamo un’opportunità senza precedenti per ridefinirlo nella sua natura più importante, cioè come contenitore di esperienze. Il tempo può passare anche senza fare niente, e qui emerge il valore dell’ozio creativo che ormai abbiamo quasi tutti dimenticato. A scuola si lavora proprio su questo, sull’ozio, che è un valore imprescindibile per sviluppare la creatività grazie al rilassamento. Il primo passo importante da fare per i genitori adesso è, dunque, non farsi prendere dall’ansia, ma lasciare che il tempo scorra con una disposizione a momenti non sempre scanditi da un qualcosa da fare».
È importante mantenere un minimo di routine in queste giornate trascorse a casa?
«È fondamentale, perché la ripetizione di determinate azioni serve non a riempire il tempo ma a scandire la giornata, soprattutto quella del bambino che in questo modo ne prende consapevolezza. La routine dovrebbe caratterizzare la nostra cultura dell’infanzia perché i passaggi sono sempre efficaci. Purtroppo abbiamo perso l’abitudine a fare sempre le stesse cose, attribuendo alle azioni significati nuovi ogni volta: le facciamo solo in maniera meccanica. Questo aspetto andrebbe ripreso da parte di tutti: scuola, genitori, nonni. In realtà, questi ultimi sono spesso gli unici custodi della routine: basti pensare al nonno che va a prendere a scuola il suo nipotino. Il genitore la mattina lo spoglia velocemente, lo consegna alla maestra e scappa via; il nonno invece il pomeriggio, anche solo per mettere il golfino, richiede un tempo più lento, magari con una carezza nel mezzo, un bacio tra una manica infilata e l’altra. Si nasconde qui una valenza affettiva di gran lunga superiore che ci dimostra quanto faccia bene una routine capace di attivare significati emotivi».
Questo tempo, che rallenta e diventa quasi sinonimo di lentezza, può esserci utile per recuperare gesti e attenzioni cariche di affetto con i bambini?
«La gestualità è fondamentale nella vita di ogni persona, ma per lo più lo abbiamo scordato. Le carezze, l’abbraccio di inizio giornata, gli sguardi sono elementi di introduzione nel mondo che permettono a un bambino di comprenderlo con maggiore intensità. Anche le parole vanno colorate con il linguaggio dell’affetto. Riformulare il tempo educativo significa, dunque, anche riformulare le azioni affettive che prima dell’epidemia non avevamo il tempo di attuare come genitori. Basta una carezza, un’intesa di sguardi che imprima un segno nell’esperienza affettiva di un bambino e che lo accompagni anche fuori di casa, rendendolo più forte».
Un libro abbracciati sul divano può diventare una strada emotiva che ci rimette in connessione con i bambini? Può essere utile per recuperare la narrazione anche di epoche lontane che non appartengono loro, ma ai genitori e ai nonni e che ne hanno scritto la storia?
«La narrazione è un elemento fondativo per un bambino. Il logos di Dio che irrompe nel silenzio è la prima narrazione della nostra vita e noi siamo istintivamente portati a raccontare, anche se abbiamo perso quest’abitudine perché diamo per implicite le narrazioni, specie a causa delle nuove tecnologie. Il problema è che ci stiamo allontanando dalle persone, anche da chi ci sta più accanto. Alcuni importanti studi di psicologia sostengono che l’ascolto e la lettura di un libro illustrato, il linguaggio che le madri o i padri mettono in atto, danno qualità a quello che io conosco della realtà. I nonni e le figure familiari sono a tutela di una storia che ci precede: noi siamo ciò che è stato già narrato. La fiaba della tradizione va in questa direzione perché ci fa sentire dentro a una relazione importante e al sicuro».
In questo modo, quando un domani questi bambini saranno grandi, potranno raccontare quest’attualità come custodi a loro volta di una storia da non dimenticare e che insegna.
«Senza dubbio. Ma noi adulti cerchiamo di non diventare ossessivi su quello che sta avvenendo. Questo fenomeno è eccezionale, sta cambiando la nostra vita, ma questa “cosa brutta” può modificarla anche in maniera positiva, perché ci avvicina, ci fa accorgere degli altri, di chi sta male, ci insegna che proviamo tutti le stesse paure e ne possiamo parlare. Possiamo ridare speranza a un elemento che ci spaventa e ci sta tenendo sotto assedio».
Per attivare emozioni e nuovi canali di narrazione ci si può servire anche solo di qualche ora in cucina per preparare una torta insieme, oppure sfogliare un album con le foto ingiallite?
«Non darei ricette, perché non rispetterebbe l’originalità di ognuno. Dobbiamo invece riappropriarci dello stupore e della meraviglia. Spesso ci facciamo prendere dall’ansia di dare risposte, contenuti alle domande dei bambini. Invece, provare stupore, lasciarsi anche cogliere impreparati da loro e cercare insieme queste risposte li fortificano, ci fortificano nella relazione. Questo è il cammino dell’educazione: accompagnare nei sentieri dello stupore e della meraviglia i nostri bambini. Dobbiamo diventare eventi umani, liberi di stupirci con loro, spingendoli verso la scoperta del mondo, per attivare domande di senso con loro, anche al tempo del Coronavirus».
Guida al Coronavirus per bambini
“Guida galattica al Coronavirus per bambini e bambine curiosi” è un simpatico libretto in pdf consultabile anche da difesapopolo.it. Lo strumento è promosso da 4 musei italiani, tra cui il nuovo Children’s museum di Verona.
L'ansia
Come possiamo affrontare senza paura anche emozioni scomode come l’ansia?
«Recuperando l’emotività – spiega Barbara Rossi – e la consapevolezza che l’uomo è capace di provare emozioni e che tutti possiamo imparare a leggerle. Le mediazioni adulte servono per essere rassicuranti nei confronti di un bambino perché un’emozione è qualcosa che ci appartiene e di cui non dobbiamo vergognarci. Cosa vuol dire avere le gambe emozionate? Facciamo in modo che i bambini verbalizzino: ragionare sul linguaggio del corpo abbassa l’ansia. La vicinanza fisica ci aiuta a scoprire che le mie emozioni sono anche quelle di mamma, papà, nonni».