Trump avrà letto Reagan? Le tante ripercussioni della contestata scelta del presidente americano

Guerra dei dazi La decisione del presidente americano avrà ripercussioni anche interne: nel lungo periodo le aziende perderanno di innovazione e di competitività nei mercati globali

Trump avrà letto Reagan? Le tante ripercussioni della contestata scelta del presidente americano

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, con un annuncio molto mediatico, mercoledì 2 aprile ha annunciato il più grande aumento dei dazi sulle merci straniere da quasi un secolo, e di fatto ha aumentato le tasse ai consumatori americani. Prima di qualunque altra analisi, è utile chiarire un aspetto: i dazi rappresentano un trasferimento di ricchezza dal cittadino allo Stato, un aumento dei prezzi al consumatore che non arricchisce le imprese, i dazi sono, quindi, una tassa e come tutte le tasse e le imposte slegate da un’idea di progressività, molto probabilmente finiscono per rivelarsi inique e vessatorie. Fatta l’ovvia premessa, i dazi proposti da Trump hanno il non trascurabile effetto di contrarre la domanda di beni e quindi creano un danno anche a chi quei beni li produce e li esporta. Lo sa bene Antonio Santocono, presidente della Camera di Commercio di Padova, che ha espresso «grande preoccupazione» di fronte alla guerra dei dazi intrapresa dal terzo più grande mercato di esportazione della provincia a quota 1,2 miliardi di euro. E non è tutto, perché la componentistica e le macchine prodotte nel Padovano e in Veneto alimentano filiere internazionali articolate, come l’automotive, su cui l’impatto dei dazi non è ancora neppure completamente stimabile. «C’è una tale integrazione produttiva a valle e a monte che rende ancora più difficile capire la decisione di Trump – riflette Mario Pomini, docente di economia politica all’Università di Padova – Il dazio al 25 per cento sulle automobili non è solo un problema per l’automobile finita, ma è anche un problema per i componenti di cui un’automobile è fatta». I primi 900 licenziamenti di Stellantis sono avvenuti, infatti, negli Stati Uniti e riguardano personale impiegato nella produzione di componenti per gli stabilimenti della multinazionale che si trovano in Canada e Messico. «Per affrontare la congiuntura economica, attuale e futura, serve il “genio veneto”, che nei secoli ci ha resi capaci di superare ogni difficoltà» ha stigmatizzato il presidente del Veneto, Luca Zaia, a margine dell’apertura del Vinitaly. E se quella veronese è la più grande vetrina per il vino italiano e veneto, il valore dell’export vitivinicolo verso gli Stati Uniti è di circa 600 milioni di euro anno a fronte di 1,2 miliardi di euro fatturati dagli strumenti e forniture mediche – compresi gli occhiali prodotti a Belluno – e di oltre 1,6 miliardi di euro delle produzioni industriali.

«Se l’aliquota sui beni europei sarà del 20 percento – chiarisce il docente padovano – possiamo stimare una riduzione dei ricavi per le imprese europee attorno a quella cifra. Il quadro dipende da tre fattori: se l’importatore americano deciderà di assorbire l’aumento dei prezzi, scaricarlo sul consumatore o chiedere all’impresa italiana esportatrice di ridurre i costi». Questo non vuol dire, però, che tutte le esportazioni subiranno lo stesso tipo di penalizzazione perché non tutti i beni sono facilmente né velocemente sostituibili con degli equivalenti, ma questo non limiterà in termini assoluti gli impatti negativi sul mercato. «Tecnicamente si dice che i beni hanno una diversa elasticità, cioè una diversa sensibilità al prezzo – spiega Mario Pomini – Ci sono prodotti come la Ferrari che vengono acquistati a prescindere, ma ce ne sono altri che sono molto sensibili agli aumenti. È il caso di quei beni che fanno parte del budget quotidiano delle famiglie». Il lusso, insomma, non risente di queste crisi o ne risente in misura minore e questo vale tanto per le produzioni industriali e manifatturiere quanto per quelle agricole: è ragionevole aspettarsi, insomma, che il mercato dei vini di pregio risenta diversamente dai dazi rispetto a quello delle bottiglie di fascia media e bassa. Ma cosa può fare l’Europa a questo punto? «Di fronte a questi dazi che non sono giustificati, l’Europa non può far altro che introdurre essa stessa dei dazi in modo tale da scoraggiare il competitore americano a proseguire – chiosa il prof. Pomini – Nella retorica del deficit di Trump c’è un grande buco: è vero che gli Stati Uniti hanno un grande deficit commerciale, ma hanno un grande avanzo nel settore dei servizi e lì potrebbe colpire l’Europa. Invece di tassare i prodotti agricoli americani, sarebbe più efficiente dal punto di vista della risposta politica tassare i giganti della tecnologia, della finanza e dei servizi assicurativi». A condizione, ovviamente, di farlo tutti insieme come Europa e non sperare di cavarsela muovendosi come singoli paesi. Ciò che forse all’amministrazione americana è sfuggito, ciò che hanno sottovalutato, non è solo l’impatto che una guerra dei dazi avrebbe avuto sulle borse mondiali ma è che Ronald Reagan, quasi quarant’anni fa, aveva già spiegato i limiti di questo tipo di iniziative: «All’inizio, quando qualcuno dice “imponiamo dazi sulle importazioni estere”, può sembrare un atto patriottico, per proteggere i prodotti e i posti di lavoro americani. E a volte, per un breve periodo, funziona ma solo per poco. Quello che accade alla fine è che le industrie nazionali iniziano a contare sulla protezione del Governo sotto forma di dazi elevati. Smettono di competere, e smettono di innovare nella gestione e nella tecnologia, che sono invece essenziali per avere successo nei mercati globali».

Vino veneto, il 21 per cento di quello esportato in America

Il volume economico tra Usa e Veneto dal 2019 al 2024 ha visto un aumento del 29,8 per cento, e che oggi sfiora i 7,3 miliardi di euro (su un totale di 80 miliardi di euro), sostenuto dalle vendite di produzioni meccaniche (quasi 1,6 miliardi) e di strumenti e forniture mediche, prevalentemente occhialeria (1,2 miliardi). L’agroalimentare sfiora il miliardo di euro ed è il settore che rispetto al 2023 ha visto la crescita maggiore (più 15,9 per cento). Se si guarda ai dati provinciali, a trainare l’export è per il 30,4 per cento del valore regionale la provincia di Vicenza con quasi 2,2 miliardi di euro. A crescere del 5,1 per cento sono la provincia di Treviso e quella di Verona con un più 6,2 per cento, grazie anche al vino. Quest’ultimo è valso al Veneto, nel 2023, un valore di oltre 592 milioni di euro. Una bottiglia veneta su cinque vendute all’estero è acquistata da americani.

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