Suicidio e giovani, Telefono Amico: "Nel 2021 triplicati i contatti"

Nella Giornata della prevenzione, Telefono Amico parla di un sensibile aumento. Intervista a Cristina Rigon: “Quando chi ci chiama ha una difficoltà grande, proviamo a indirizzare verso gli specialisti, ma sappiamo che molti non possono permettersi una visita. Questi servizi costano e le persone non hanno denaro. E' urgente rendere queste prestazioni pubbliche”

Suicidio e giovani, Telefono Amico: "Nel 2021 triplicati i contatti"

Il telefono squilla, il volontario risponde: può essere una telefonata, o un messaggio su WhatsApp. Ma soprattutto in chat, o anche tramite mail, a chiedere aiuto sono sempre di più e sempre più giovani. E' uno degli effetti drammatici della pandemia: secondo Telefono Amico, nel primo semestre del 2021 le richieste d'aiuto legate al suicidio sono triplicate rispetto al periodo pre-pandemia. “Un dato impressionante, a cui si deve prestare la massima attenzione, non solo oggi, che celebriamo la Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio”, afferma Cristina Rigon, vicepresidente di Telefono Amico.

Una crescita improvvisa?
No, già nel 2020 abbiamo ricevuto il 70% dei contatti in più rispetto ad anni precedenti: in un anno, ben 100 mila risposte - tra telefono, mail e WhatsApp - a richieste d'aiuto che riguardano i temi più diversi: dall'area personale a quella famigliare, lavorativa, amicale. Evidentemente, il Covid ha influito, così come ha influito il fatto che abbiamo reso il nostro numero gratuito e messo a disposizione anche la chat, particolarmente utilizzata dai giovani. E i dati continuano a crescere, solo nel primo semestre del 2021 abbiamo ricevuto circa 3 mila chiamate, in cui l'utente parlava di intento suicidario. Un tema, questo, ricorrente soprattutto tra i giovani, forse perché più predisposti ai temi esistenziali, forse perché più impulsivi degli adulti e più netti nel vedere le cose bianche o nere, senza sfumature. In ogni caso, pur non sapendo se l'intento suicidario effettivamente ci sia, il fatto che ne parlino è un segnale che dobbiamo prendere sul serio.

Come vi spiegate l'aumento delle richieste d'aiuto? Ha a che fare anche con una maggiore consapevolezza e conoscenza del vostro servizio?
Sicuramente, durante il periodo di lockdown, la chiusura dei centri e dei servizi ha determinato un aumento dei contatti. Certo, però, si è anche diffusa e continua ad esserci una grande paura e incertezza per il futuro, così come si è determinato un deterioramento delle reti sociali, soprattutto tra i ragazzi. Sembra che vadano tanto in giro, ma noi sentiamo ogni giorno ragazzi che hanno paura del covid, o che hanno paura di riprendere i rapporti: tante relazioni, anche amorose, si sono interrotte, tanti amici hanno smesso di frequentarsi per mesi e, quando è stato possibile rivedersi, alcuni si sono trovati in difficoltà. Ma l'aumento delle chiamate ricevute dipende sicuramente anche dall'impegno con cui, come associazione, abbiamo cercato di far capire che si può cercare aiuto attraverso i nostri servizi, che a differenza di altri servizi sono gratuiti.

E' una denuncia?
E' un appello: quando sentiamo che chi ci chiama ha una difficoltà grande, proviamo a indirizzare verso gli specialisti, ma sappiamo che molti non possono permettersi una visita. Questi servizi costano e le persone non hanno denaro. Vogliamo quindi dire con forza che il benessere mentale è da perseguire tanto quanto quello fisico, quindi è necessario rendere queste prestazioni pubbliche, soprattutto nel momento in cui il bisogno aumenta e una risposta adeguata può fare la differenza. Stasera, durante l'evento “La tua vita conta”, porterà la sua testimonianza Irene Mascia, una ragazza di 19 anni, che ci ha contattati due o tre anni fa. Recentemente ci ha nuovamente contattati per dirci che grazie a noi aveva superato le sue difficoltà. Ci ha raccontato di averci cercati, all'epoca, come “ultima spiaggia”. Ecco, oggi forse non siamo più l'ultima spiaggia, ma uno strumento che le persone si autorizzano a utilizzare.

A rispondere alle chiamate, c'è un esercito di volontari. E' sufficiente, anche di fronte all'aumento delle richieste?
Noi abbiamo 20 centri e 500 volontari, che vengono formati attraverso un corso di sei mesi che assicura la professionalità necessaria per questo compito. E poi ci sono incontri formativi e di aggiornamento durante l'anno. Quest'anno riusciremo nuovamente a fare il corso in presenza e presto partirà in diverse città, ma negli ultimi anni abbiamo dovuto farlo online e questo ha portato anche una diminuzione dei volontari. Con le chiamate triplicate, i volontari iniziano a essere troppo pochi e non hanno quasi il tempo di rifiatare tra una chiamata e l'altra. Ci servirebbero nuove leve.

Con la crisi anche economica, riuscite a trovare volontari disponibili?
Non è facile, soprattutto per i giovani. L'età media dei nostri volontari infatti oscilla tra i 55 e i 65 anni, ma ci sono anche alcuni giovani soprattutto studenti universitari, che qui trovano anche una possibilità di tirocinio e sicuramente di un grande arricchimento del loro bagaglio umano.

Chi sono invece i giovani che vi chiamano, parlando di suicidio?
Sono giovani che di raccontano problemi diversi: dalle crisi personali e famigliari agli episodi di bullismo e autolesionismo, di cui ultimamente sentiamo parlare tantissimo. Sono giovani che fanno fatica ad essere ascoltati in famiglia e questo ci colpisce molto. Parlano di famiglie poco presenti e poco attente ai loro bisogni, forse anche per colpa del periodo difficile che tutti stiamo attraversando. Capita infatti che questi ragazzi si dicano preoccupati per i loro genitori e si domandino come reagiranno, se loro si toglieranno la vita. È una preoccupazione che deve farci riflettere...

Chiara Ludovisi

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)