Sui campi ancora la minaccia dei dazi. Le ultime mosse degli Usa ripropongono il tema del commercio internazionale alimentare
L'effetto della decisione di ampliare la cosiddetta black list che elenca i prodotti europei per i quali l’amministrazione Usa può applicare dazi.
Presto per i nostri produttori agroalimentari potrebbe essere più costoso esportare negli Stati Uniti. E’ l’effetto della decisione di ampliare la cosiddetta black list che elenca i prodotti europei per i quali l’amministrazione americana può applicare dazi come risposta alla controversia su Airbus-Boeing sugli aiuti al settore aeronautico. Storia vecchia che, tuttavia, si rinnova e che conferma quanto l’agricoltura e la trasformazione agroalimentare siano pienamente inserite nelle grandi contrapposizioni commerciali mondiali. Una circostanza che, spesso, viene dimenticata.
Il cuore della questione è semplice. Nell’ambito del sostegno Ue ad Airbus gli Usa sono stati autorizzati, dall’organizzazione mondiale del commercio, ad applicare sanzioni all’Unione Europea per un limite massimo di 7,5 miliardi di dollari. L’Europa, a dire il vero, dovrebbe però a breve esprimersi sulla disputa parallela per i finanziamenti Usa a Boeing la quale darebbe a Bruxelles margini per proporre contromisure. In ogni caso, il via libera agli Usa, ha quindi portato a ondate successive di dazi. L’ultima puntata della storia è di qualche giorno fa, quando, appunto, è stata pubblicata la lista definitiva dei prodotti e dei Paesi europei a rischio di nuovi prelievi. Si tratta di un elenco che per l’Italia interessa i 2/3 del valore dell’export agroalimentare e si estende tra l’altro vino, olio e pasta oltre ad alcuni tipi di biscotti e caffè esportati negli Stati Uniti per un valore complessivo di circa 3 miliardi di euro. Nell’ottobre dello scorso anno, una lista simile aveva colpito per un valore di mezzo miliardo di euro specialità italiane come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Gorgonzola, Asiago, Fontina, Provolone ma anche salami, mortadelle, crostacei, molluschi agrumi, succhi e liquori come amari e limoncello.
Quanto sta accadendo non è cosa di poco conto. Fa notare infatti Coldiretti come le esportazioni agroalimentari in Usa nel 2019 siano arrivate a 4,7 miliardi e siano cresciute del 10% nel primo quadrimestre del 2020 nonostante l’emergenza coronavirus. Gli Stati Uniti – sottolinea poi l’organizzazione dei coltivatori diretti – sono il principale consumatore mondiale di vino e l’Italia è il loro primo fornitore.
Al di là dei numeri – che comunque hanno evidentemente un peso importante -, quello che è più significativo è il ruolo di merce di scambio che l’agroalimentare assume nelle grandi diatribe internazionali. Per una questione legata agli aiuti destinati ad un altro comparto – quello aeronautico in questo caso -, a pagarne lo scotto è un settore, quello agroalimentare, che non solo rappresenta la buona italianità nel mondo, ma anche posti di lavoro la cui perdita sarebbe drammatica. Da qui l’appello di Coldiretti. “Occorre impiegare tutte le energie diplomatiche per superare inutili conflitti che rischiano di compromettere la ripresa dell’economia mondiale duramente colpita dall’emergenza coronavirus”, dice infatti il presidente dell’organizzazione agricola, Ettore Prandini, che ricorda non solo l’alleanza su altri fronti tra Europa e Usa, ma anche la condizione nella quale si ritrova il nostro paese colpito “dai dazi Usa nonostante la disputa tra Boeing e Airbus, causa scatenante della guerra commerciale, sia essenzialmente un progetto francotedesco al quale si sono aggiunti Spagna ed Gran Bretagna”. “Il modo migliore per risolvere un contenzioso che si trascina da oltre un decennio, sarebbe quello di un negoziato tra la Commissione e le autorità statunitensi. Finora è stato impossibile avviare le trattative – dice poi Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura – Per questo risulta essenziale l’iniziativa diretta del nostro governo per tutelare le esportazioni agroalimentari italiane sul mercato Usa”.
E’ la diplomazia, dunque, ad essere chiamata fortemente in campo. Richiesta più che giusta, ma forse non sufficiente. Accanto alla capacità negoziale, pare ormai necessario e doveroso porre anche una capacità progettuale che riesca ad individuare formule nuove nell’organizzazione dei commerci internazionali, soprattutto alimentari. Troppe volte, infatti, sono stati gli alimenti (con tutto il loro bagaglio di lavoro, attenzione all’ambiente e alla salute dell’uomo), ad essere coinvolti in battaglie che nulla hanno a che fare con l’agricoltura. I disastri ambientali, le emergenze sanitarie, le migrazioni sempre più incontenibili, dovrebbero ricondurre gli stati a criteri di cooperazione più forte e non a conflitti commerciali che si autoalimentano e basta.