Nervo e Pasini: una vita insieme nella fede e nella povertà
Il 21 marzo, anniversario della morte di don Giovanni Nervo e don Giuseppe Benvegnù-Pasini, è uscito un numero della rivista Studi Zancan interamente a loro dedicato.
Una vita insieme nella fede con «mezzi poveri, povertà personale, uso di un linguaggio semplice e concreto, priorità ai poveri nella destinazione delle risorse, del tempo, delle strutture». Don Giovanni Nervo e don Giuseppe Benvegnù-Pasini – a cui è dedicato l’ultimo numero della rivista Studi Zancan (scaricabile gratuitamente da fondazionezancan.it), uscito il 21 marzo, anniversario della loro morte – descrivono così la ricchezza dell’essenzialità, al cuore dei problemi e delle persone, un’impresa difficile in un mondo lacerato. «In certis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas». Don Giovanni traduceva così quanto avrebbe detto sant’Agostino: «Nelle cose certe unità e per individuarle tutti disponiamo dell’intelligenza, della coscienza e, sul piano etico-politico, della Costituzione; per i credenti l’arricchimento di luce viene dalla parola di Dio. Nelle cose discutibili libertà». E proseguiva: «Piena libertà di esprimersi, doverosa attenzione e rispetto per chi esprime idee diverse. In tutte le cose carità: cioè rispetto reciproco, armonia, attenzione alla persona».
Ha significato «guardare con occhio penetrante alla società, nei suoi aspetti più nascosti che riguardano particolarmente coloro che non hanno voce» (Paolo Giaretta, una delle voci che, nella rivista, lo ricordano a cent’anni dalla nascita). «Ricordo i tanti fax (non c’erano ancora le mail) inviati a mio marito Romano Prodi (quando era Presidente del consiglio) ogni volta che si discutevano le scelte della legge finanziaria. Sollecitava sempre la sua attenzione sui temi della povertà e delle sofferenze degli ultimi» (Flavia Franzoni Prodi). Don Giovanni «era la persona più vicina alla santità che ho avuto il privilegio di conoscere nella mia vita. Sono parole che un laico come me (Gilberto Muraro) forse non è autorizzato a scrivere, ma è il modo istintivo di sottolineare l’aspetto peculiare del carisma di don Giovanni Nervo: non solo capacità di realizzare cose generose e grandi, ma anche capacità di risvegliare in chiunque incontrasse il proprio lato migliore... Una specie di “ora et labora” nel mezzo delle sofferenze della gente». «Si è dipartito da noi l’uomo saggio, il prete fedele, l’amico dei poveri e degli oppressi: don Giovanni Nervo. In lui ho ammirato anzitutto il prete, poi il cittadino che leggeva, commentava e difendeva la carta costituzionale italiana. Sono sicuro che l’ultimo sorriso della sua vita gli sia stato dato dal nuovo papa Francesco» (mons. Loris Capovilla).
E don Giuseppe? Sempre dopo, con mitezza, umiltà e tanta forza per realizzare, incoraggiare, costruire. Lo spiega così proprio lui: «Mancava una maturazione della riflessione teologica sulla carità. Lo rilevava con molta serenità il card. Martini, in un convegno tenuto nel 1981 dalla Caritas italiana sul tema del volontariato. Diceva: “Gli studi teologici sul servizio della carità registrano una lacuna sul mistero della Chiesa e sulla prassi pastorale: mentre sono stati abbastanza approfonditi i rapporti tra Parola e Chiesa e tra liturgia e Chiesa, non è stato ancora messo esplicitamente a tema “il rapporto tra carità e Chiesa”».
«La fede, la speranza e la carità hanno costantemente illuminato le vite di don Giuseppe e don Giovanni, in una Caritas segno e strumento di una Chiesa, comunità di credenti, che si prende cura delle persone che incontra, che fanno famiglia, che lavorano e costruiscono il Paese, che si prendono cura degli emarginati, della giustizia, del bene comune» (mons. Paolo Doni). Fede, speranza e carità sono state luce ai loro passi, con tutta la sapienza e la grazia necessarie perché il chicco di grano potesse donare se stesso e rinascere. Lo hanno fatto insieme, da soli non sarebbe stato così.