N come Normalità. Serve realismo per riconoscersi normale, serve umiltà per non riconoscersi eccezionale
La grande sospensione dovuta alla pandemia ci ha costretto ad aprire gli occhi su ciò e a riconoscere che davamo per scontate una serie di cose che di fatto non lo sono.
Da vicino nessuno è normale
All’ingresso dell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini di Milano
N come Normalità. Tornare alla normalità: è questo il refrain sulle bocche e nelle intenzioni di tutti. Siamo nel pieno della fase 2 e le diverse e progressive aperture hanno la finalità di permettere a tutti di tornare alle loro abitudini e consuetudini. Chi andava a correre al parco quotidianamente, chi in piscina o in palestra; oppure andare a cena in un ristorante o una serata al cinema. Questo per molti è tornare alla vita di tutti i giorni, alla vita di sempre, ma chi l’ha detto che questa sia la normalità? La grande sospensione dovuta alla pandemia ci ha costretto ad aprire gli occhi su ciò che facevamo abitualmente e a riconoscere che davamo per scontate una serie di cose che di fatto non lo sono, o non lo sono per tutti. Consideravamo normale non vederci per buona parte o tutta la giornata e abbiamo riscoperto il gusto, che so, di pranzare insieme o di recitare una preghiera riuniti in un momento di intimità.
Riteniamo normale avere a disposizione una connessione stabile e costante che ci permette di collegarci con tutte le parti del mondo ed entrare in relazione, attraverso la Rete, con persone e luoghi dall’altra parte del pianeta. Ci risulta assolutamente nella norma poter mangiare tre volte al giorno e andare a prendere dalla dispensa ciò che ci garba tutte le volte che lo stimolo della fame (o la noia) si fa presente. Ma non siamo sempre pronti a considerare che tutto questo non è di tutti, non è normale per tutti, c’è sempre qualcuno senza un posto per dormire, senza un pasto, senza un telefono, senza… Dopo una costrizione in casa che ha avuto pochi precedenti (o forse nessuno) nella storia della Repubblica italiana, ora consideriamo doveroso e opportuno che tutti possano riprendersi i propri spazi di libertà: i parchi si ripopolano di runners e podisti e così le piazze e le vie della movida, dove a fatica le forze dell’ordine gestiscono le norme di distanziamento sociale. È chiaro che la normalità è qualcosa di assolutamente relativo: si tratta di una condizione che varia a seconda dei gruppi sociali e degli individui e poi è qualcosa di dinamico, non statico che si acquisisce attraverso una gradualità, proprio come sta avvenendo con le riaperture degli spazi pubblici del Paese. Ma esiste anche una normalità in famiglia? O meglio quale può definirsi una famiglia normale? Una volta era consueto trovare famiglie con tre, quattro o anche molti più figli e non c’era bisogno di definirle “famiglie numerose”, oggi con più di tre figli sono sempre meno i nuclei famigliari e ci si è accorti quindi che la normalità è un’altra.
Anche all’interno della famiglia, fra genitori e figli si possono instaurare rapporti che si possono definire normali o anomali: se un figlio non ti parla, questo è un fenomeno che va considerato con attenzione; se un figlio, invece, è particolarmente espansivo e desideroso di coccole anche durante l’adolescenza può essere considerato un po’ raro, ma chi si permetterebbe di dire che sia un comportamento da contenere? C’è chi si sveglia molto presto la mattina e la sera dopocena si addormenta per primo davanti alla tv; c’è chi parla estesamente al telefono con nonni, parenti ed amici e chi è più esperto in monosillabi di saluto e non sa mai cosa dire. Chi tornando da scuola non ha mai niente da raccontare e chi avrebbe bisogno del doppio del tempo e dell’attenzione di mamma e papà per riferire quanto vissuto. Quale di questi atteggiamenti è più normale dell’altro? Nessun saggio pedagogista o educatore si permetterebbe di attribuire l’etichetta di normale ad uno dei comportamenti e non all’altro, piuttosto sarebbe propenso a definire entrambi gli atteggiamenti all’interno di una fascia di normalità da cui si esce solo in casi estremi… Talvolta siamo genitori apprensivi e consideriamo come da correggere o curare un’abitudine assolutamente innocua; tal’altra, anche contro ogni evidenza, sottovalutiamo un comportamento fuori dagli schemi, con un’indulgenza che può rivelarsi pericolosa per la crescita sana del ragazzo o della ragazza. Comunque la si metta è proprio vero che genitori si diventa e che il rischio di sbagliare è sempre dietro l’angolo. Serve realismo per riconoscersi normale, serve umiltà per non riconoscersi eccezionale e quello che in tal senso si respira in casa alimenta senz’altro la consapevolezza individuale. Auspicabile nei figli che crescono come negli adulti che li educano quell’autostima che fa leggere la realtà per quella che è, che non ci fa preoccupare eccessivamente, né sottovalutare i problemi, nella convinzione che “da vicino nessuno è normale”.