Medici senza frontiere all'incontro "Palestina, vite in trappola": «È un genocidio, non una guerra»
Una violenza sistematica, indiscriminata, diretta contro i civili. Tutto è stato raso al suolo. Manca tutto: garze, sedativi, antibiotici. E non c’è più acqua potabile. Medici senza frontiere ha raccontato, durante l’incontro a Padova “Palestina, vite in trappola”, l’attività medicosanitaria a Gaza e Hebron: «Non sappiamo più che cosa aspettarci»

«Con la ripresa del conflitto non sappiamo più che cosa aspettarci». A dirlo è Gabriella Bianchi, operatrice di Medici senza frontiere (Msf) rientrata da poco da Gerusalemme, che ha condiviso la sua testimonianza durante l’incontro “Palestina, vite in trappola”, organizzato dalla sezione padovana dell’organizzazione umanitaria. L’evento, realizzato in collaborazione con l’Assessorato Pace, diritti umani e cooperazione internazionale del Comune di Padova, ha avuto lo scopo di presentare l’attività medico-sanitaria che, anche nei momenti più violenti del conflitto, Msf non ha mai cessato di portare avanti a Gaza e Hebron (Cisgiordania). Come ha spiegato Bianchi «la ripresa delle operazioni militari ha dei risvolti drammatici per tutta la popolazione. Significa che la pace e il cessate il fuoco del 19 di gennaio, che hanno dato la speranza alla gente di poter tornare finalmente a casa e cominciare la ricostruzione, adesso non si sa più se saranno possibili. Non sappiamo più che cosa aspettarci». Un passo indietro che ributta il popolo palestinese nello sconforto. Perché quella che si sta combattendo in quelle terre non è solo una guerra di droni, bombe e carri armati ma è, soprattutto, una guerra psicologica. «È un genocidio – afferma Bianchi – Dalle testimonianze dei nostri operatori che sono sul territorio e dai dati medici che sono stati raccolti da ottobre 2023 allo stesso mese del 2024, è possibile descrivere una violenza indiscriminata contro i civili con la distruzione delle condizioni minime per la sopravvivenza e dei servizi essenziali. I nostri operatori descrivono la situazione come “una punizione collettiva contro il popolo palestinese della Striscia di Gaza”». Oltre un milione e 900 mila sfollati sono stati mandati via più volte dai luoghi dove erano stati fatti andare muovendoli dal nord, al centro e poi di nuovo a nord del Paese. «Si fanno spostare i civili dicendogli che non sono più al sicuro – prosegue Bianchi – per poi chiuderli in un’area definita una zona umanitaria, che però è una trappola di 47 chilometri quadrati che puntualmente viene bombardata. Quindi non c’è un posto sicuro all’interno della Striscia di Gaza e le condizioni di vita in questo luogo sono assolutamente inaccettabili, insostenibili. Questa non è solo una guerra, ma è un genocidio». Una violenza tanto che, secondo le testimonianze di Msf, a nord di Gaza non è rimasto più nulla, tutto è stato raso al suolo. Scrive Msf sul suo sito: «In risposta ai terribili attacchi condotti da Hamas e da altri gruppi armati in Israele il 7 ottobre 2023 – in cui sono state uccise 1.200 persone e 251 sono state prese in ostaggio – le forze israeliane stanno schiacciando l’intera popolazione di Gaza. Secondo il ministero della Salute, la guerra totale di Israele contro Gaza ha ucciso più di 45 mila persone». Le testimonianze di Msf raccontano di evacuazioni forzate usate come armi da guerra. Il 90 per cento della popolazione è stata evacuata sotto la minaccia delle armi. «I nostri stessi colleghi sono stati spostati forzatamente più di cinque volte con tutta la famiglia – racconta Bianchi – gran parte di questa gente ha perso la casa, il lavoro e le attività. Stiamo parlando di una popolazione che ha bisogno di tutto». Anche l’entrata delle forniture, dei viveri e dell’acqua, nella Striscia di Gaza, è regolata dalle autorizzazioni concesse dai militari israeliani che come spiega Bianchi: «decidono secondo criteri che loro definiscono di sicurezza. Quindi, per esempio, bloccano tutto ciò che considerano essere materiale che potrebbe avere un doppio uso. Bloccano bisturi, forbici, generatori, concentratori di ossigeno e macchinare per la desalinizzazione dell’acqua che sarebbero essenziali a Gaza dove non c’è più acqua potabile». Medici senza frontiere racconta anche di un alto costo in termini di vite pagato dal personale sanitario. Oltre mille operatori sanitari sono morti. Nove sono di Msf e con loro sono morte anche le loro famiglie. Spiega Cristina Cantù, responsabile attività infermieristiche, rientrata da Gaza da poche settimane: «Medici senza frontiere è sul territorio della Striscia di Gaza dal 1989 con progetti regolari che diventano a volte di emergenze in base alle varie guerre. Dal 7 ottobre abbiamo dovuto rivedere tutte le nostre attività perché ci hanno fatto spostare da nord a sud, poi da sud al centro quindi abbiamo dovuto aprire e chiudere progetti in poche settimane. Ora siamo costretti a richiedere nuovamente i visti per essere sul territorio». Oggi meno della metà dei 36 ospedali di Gaza sono funzionanti – anche se solo parzialmente – e il sistema sanitario è al collasso. Conclude Cantù: «In queste condizioni è difficile operare, perché manca tutto: le garze, indispensabili per curare le ferite da ustione; i sedativi, necessari per gli interventi e mancano gli antibiotici e l’acqua. Non c’è più acqua potabile».