Manovra, l’agricoltura in agitazione
A pesare sul futuro non c’è solo la politica agricola italiana, ma anche le incognite di quella europea internazionale. Lo spettro che si aggira sui mercati mondiali ha un nome ben preciso: neoprotezionismo.
Arrabbiati e in mobilitazione. Sono così gli agricoltori italiani dopo l’approvazione della Manovra 2019 da parte del Parlamento. Difficile dire, adesso, se e quanto si tratti di una agitazione destinata a prolungarsi nel tempo. Certo è, però, che la discesa in piazza di Coldiretti è il segno di un malumore diffuso nella gran parte del settore.
Tema principale del contendere, secondo i coltivatori, è “l’assenza nella legge di stabilità delle misure necessarie a garantire adeguate risorse al Fondo di solidarietà nazionale per far fronte alle pesanti calamità che hanno colpito importanti aree del Paese”. Ultimo eclatante esempio in questo senso, sono le condizioni in cui versa l’agricoltura pugliese. Nella regione che un tempo – e in buona parte ancora oggi -, è stata il granaio e l’oliveto d’Italia, il maltempo ha tartassato l’olivicoltura portando al dimezzamento della produzione nazionale di olio di oliva.
Battaglia per un simbolo, quella in difesa dell’olio di oliva italiano, che tuttavia nasconde altri problemi che stanno emergendo.
Gli agricoltori vorrebbero essere più difesi dalla concorrenza sleale e più tutelati di fronte alle grandi calamità che ormai ciclicamente colpiscono il settore. Una posizione che non pare abbia trovato più di tanto conforto nelle esportazioni da primato raggiunte nel 2018: 42 miliardi di euro (il 3% in più rispetto al 2017). Anche perché a pesare sul futuro non c’è solo la politica agricola italiana, ma anche le incognite di quella europea internazionale. Lo spettro che si aggira sui mercati mondiali ha un nome ben preciso: neoprotezionismo.
Eppure, qualcosa la legge di stabilità 2019 porta ai campi e alle stalle italiane.
C’è, per esempio, il potenziamento del piano straordinario per la promozione del Made in Italy, con 90 milioni di euro per il 2019 e 20 milioni per il 2020. Ci sono la proroga del “bonus verde” con la detrazione fiscale per gli interventi di sistemazione del verde da parte dei privati; l’istituzione e il finanziamento del Fondo per la tutela e la valorizzazione delle foreste italiane; il voucher per la rimozione e il recupero di alberi e tronchi nelle aree colpite da calamità naturale; gli interventi per il contrasto alla Xylella fastidiosa; l’istituzione del Catasto delle produzioni frutticole; i finanziamenti per i progetti nel settore apistico, per il Fondo nazionale per la montagna e per il Fondo per gli indigenti. Viene anche introdotta la possibilità, per gli imprenditori agricoli, di vendere al dettaglio (purché in misura non prevalente) prodotti di altri agricoltori, garantendone così l’origine ai consumatori. Tutte cose che hanno fatto dire a Confagricoltura e Cia Agricoltori italiani che tutto sommato questa Manovra non è da buttare via, ma che il Governo deve essere più pronto al dialogo e che comunque serve “un ulteriore sforzo per lo sviluppo del sistema agroalimentare italiano”.
Rimangono in ogni caso il malessere diffuso nei campi, la sensazione di essere inseguiti dalle pratiche sleale internazionali, il malumore nei confronti di un’Europa dalla quale spesso pare arrivare solo nuova burocrazia e null’altro, l’incertezza di un futuro fatto di cambiamenti climatici, la latente conflittualità lungo la filiera che porta i cibi dai campi alle tavole. Non sono forse più i tempi delle grandi manifestazioni di piazza, dei blocchi delle strade, del latte versato nei fossi e degli scontri a muso duro fra Esecutivo e agricoltori. Ma che qualcosa occorra fare in più per l’agricoltura nazionale è certamente vero.
Andrea Zaghi