Le insidie dell’outfit. Uomini imbellettati e donne androgine. Viene da chiedersi: il messaggio qual è?
Omologazione o emancipazione/realizzazione del proprio io? Questo il dilemma.
La moda è da sempre uno dei grandi temi dell’adolescenza, fin dagli anni Sessanta quando fra le teen ager iniziava a spopolare la minigonna.
Già all’epoca, l’imporsi di questo nuovo capo di abbigliamento, apriva il fronte della contestazione giovanile attraverso l’immagine. Indossando la minigonna le ragazze di allora rivendicavano il proprio diritto alla libertà ed esprimevano desiderio di emancipazione. Qualcuno, poi, ha obiettato, che assieme a quella ribellione, la minigonna abbia veicolato anche la “dittatura” della magrezza. Uno stereotipo, quest’ultimo, molto pericoloso soprattutto per le ragazze più fragili e insicure.
Attenzione quindi all’outfit: da un lato può sembrare una finestra affacciata sulla libertà, dall’altro è in grado disseminare di nuovi sommersi pregiudizi la strada che conduce all’identificazione.
Omologazione o emancipazione/realizzazione del proprio io? Questo il dilemma.
Il problema attuale è, inoltre, il legame sempre più stretto fra moda giovanile e grandi brand. Secondo quanto emerge nel panorama social, frequentato dai teen ager, l’outfit dei nostri ragazzi è molto condizionato da influencer e fashion blogger, che apparentemente sembrerebbero dei semplici coetanei “della porta accanto” con molta visibilità sul web, ma in realtà si rivelano veri e propri operatori di mercato. Attraverso il proprio oblò multimediale, infatti, questi personaggi sponsorizzano le grandi marche e riescono a insinuarsi nella mente dei più giovani come veri e propri guru esistenziali.
Spesso, tramite questi testimonial il mercato oltrepassa i confini del plagio. Su YouTube e anche sulle altre piattaforme social i ragazzi si sfidano in fashion contest, ovvero gare legate all’outfit. Molti tra loro si sentono realizzati e “inclusi” nel gruppo dei coetanei soltanto se possiedono determinati capi di abbigliamento o accessori, i cui prezzi sono da capogiro. Lo spasmodico tentativo di “stare al passo” con gli altri porta frequentemente alla creazione nei giovani di false personalità. Questo accaparramento affannoso verso il brand di turno, mette inoltre in grave difficoltà quelle famiglie che non sono in grado di potersi permettere simili spese.
In maniera particolare l’acquisto di certi capi o accessori “must have” diventa una sorta di obiettivo imprescindibile, a scapito di altre priorità.
Anche la musica assume sempre di più un profilo fashion e il look di certe rockstar è emblematico, lo abbiamo constatato qualche settimana fa nel corso delle serate televisive dedicate al Festival di Sanremo.
La spettacolarizzazione della musica è uno dei tratti di quest’epoca, così fortemente legata al potere di suggestione delle immagini. Gli outfit che abbiamo visto sfilare, oltre a esortare alla trasgressione e alla rottura degli schemi convenzionali, hanno messo in evidenza anche una certa tendenza all’ambiguità di genere, tesa a disorientare soprattutto i giovani spettatori.
Uomini imbellettati e donne androgine. Viene da chiedersi: il messaggio qual è? Un invito a vivere serenamente il proprio orientamento sessuale, oppure una istigazione a scandalizzare a tutti i costi e stupire chi guarda? L’outfit serve a fare proselitismo commerciale o veicola messaggi autentici, più o meno condivisibili?
La questione sta sfuggendo di mano, agli adulti prima che ai giovani, e di certo il quadro attuale non aiuta a dipanare la matassa degli equivoci e della confusione.
Gli adulti sono sempre più in difficoltà con giovani “confinati dal lockdown”, esposti quindi maggiormente alla sbornia mediatica e sempre più ai margini della realtà, che è sperimentabile soltanto “fuori” dalle mura domestiche. Influencer, fashion blogger e rockstar in un orizzonte di normalità potrebbero essere vissuti come manifestazione di folklore all’interno dell’universo virtuale, ma se questo mondo perde i propri confini, allora essi si trasformano sempre più negli “amici invisibili” dei nostri figli, che sono desiderosi di relazioni sociali, ingenui sotto molti di punti di vista e bisognosi di trovare se stessi.