La scuola a un bivio, tra esigenza di cambiare o ritorno allo status quo
L’analisi di Tuttoscuola nella sua newsletter interamente dedicata al Piano 2020-2021. “La scuola è ora a una svolta: riformarsi coraggiosamente o accontentarsi di razionalizzare l’esistente“. Tenendo anche conto di un dato importante: tra 10 anni ci saranno un milione e 300 mila studenti in meno
Dopo i rinvii, le attese, le anticipazioni e le polemiche, il Piano Scuola 2020-2021 ha ricevuto finalmente l’imprimatur della Conferenza unificata Stato, Regioni e Autonomie Locali.
“Forse sarebbe stato opportuno prevedere anche scenari alternativi in dipendenza dell’andamento del Covid-19 (azzerato con ritorno alla situazione dell’anno scorso o peggiorato con ripristino della situazione dei mesi scorsi), ma questo è il Piano definitivo e con questo dovranno fare i conti per la ripartenza soprattutto Enti Locali e dirigenti scolastici”, afferma Tuttoscuola nella sua newsletter settimanale, interamente dedicata al problema della scuola post coronavirus e inquadrata nel Piano che ha avuto l’ok della Commissione unificata.
Afferma Tutto scuola: “Tra la bozza del Piano che aveva provocato critiche e proteste e il testo definitivo del Piano le integrazioni e le modifiche non sono state così rilevanti da far cadere le riserve manifestate da più parti. Ma le integrazioni richieste (maggiori risorse e integrazione degli organici) hanno invece trovato accoglimento fuori dal Piano e sono state provvisoriamente soltanto annunciate: integrazione di un miliardo di euro e incremento di organico di fatto di 50 mila unità tra docenti e personale ATA. Se, com’è sperabile, quei 50 mila posti da conferire con contratto a tempo determinato sono il risultato di stime calcolate in base ai dati in possesso del ministero, si deve ritenere altrettanto attendibile anche il dato fornito dal ministro Azzolina in conferenza stampa secondo cui circa il 15% delle classi non risulta adeguato per accogliere gli alunni nel rispetto dei parametri indotti dal distanziamento”.
“Ciò significa che circa 54 mila classi e oltre un milione di alunni entro settembre dovranno avvalersi di spazi alternativi – si legge su Tuttoscuola -. Si tratta di un problema che i competenti Enti locali cercheranno quanto prima di risolvere e che nell’immediato ha dato luogo a forti contrasti tra opposizione e maggioranza (…).
La palla passa ora agli enti locali e ai dirigenti delle istituzioni scolastiche”.
La scuola a un bivio
“Obiettivo primario del Piano Scuola 2020-2021 è sostanzialmente quello di ripristinare la normalità per una scuola duramente provata da mesi di lockdown e di emergenza sanitaria – si scrive in un ulteriore articoli di Tuttoscuola -. Il 2020-2021 sarà necessariamente un anno di transizione e di assestamento, ma potrebbe essere trasformato anche in un’occasione per avviare una vera riforma del sistema, impiegando gli interventi congiunturali come primo avvio di interventi strutturali.
Alcuni elementi di questi obiettivi di revisione del sistema si possono anche rinvenire all’interno dello stesso Piano dove, ad esempio, si richiamano diverse potenzialità già individuate dall’autonomia didattica”. La stessa ministra Azzolina nella sua lettera alla comunità scolastica dice che “quella di settembre sarà una scuola innovativa e aperta, sarà una scuola radicata nel presente, ma con lo sguardo rivolto al futuro (…). La ripartenza del Paese non può che passare dunque da un nuovo slancio innovativo della scuola”.
“La scuola, momentaneamente al centro dell’attenzione generale, è ora a una svolta: riformarsi coraggiosamente o accontentarsi di razionalizzare l’esistente –scrive Tuttoscuola -. Nel primo caso potrà assumere centralità all’interno della società e diventare volano per lo sviluppo del Paese e per il conseguimento della cittadinanza attiva soprattutto da parte delle giovani generazioni. Conseguentemente per il prossimo decennio il nostro sistema scolastico potrebbe recuperare quei livelli di prestazione e credibilità che attualmente lo vedono agli ultimi posti in Europa. Nel secondo caso la scuola continuerà a sopravvivere nelle sue ordinarie criticità, forse un po’ più contenute, tra eccellenze e negatività, rimesse soggettivamente alle capacità o ai limiti delle singole scuole in una logica asistemica”.
La riforma strutturale del sistema, per Tuttoscuola, deve prendere di petto: il dimensionamento del sistema; le regole di funzionamento (orari, reclutamento, supplenze, etc); l’organizzazione degli ambienti di apprendimento e la struttura delle classi; la revisione della didattica, spostando il baricentro dall’insegnamento trasmissivo all’apprendimento partecipato; la valutazione; la formazione (obbligatoria) del personale; il percorso professionale, commisurato alle competenze e all’impegno di ciascuno. Con incrementi salariali per tutti (perché i livelli stipendiali sono intollerabilmente bassi), ma maggiori per chi si impegna di più
“Conseguentemente per sostenere la riforma del sistema occorre impiegare cospicue risorse finanziarie, attingendo anche ai fondi europei, che sembrano ora accessibili. C’è inoltre una finestra di opportunità dovuta al trend demografico, che sa anche di ultima chance: tra 10 anni ci saranno un milione e 300 mila studenti in meno, con un turnover del 40% degli insegnanti. Ci vuole un vero progetto. Quale modello di scuola vogliamo per il Paese? Serve un piano strategico 2020-2030 per la scuola. Occorre visione e il coraggio di una scelta convinta da parte di tutto il Governo e delle forze politiche che lo sostengono, e sarebbe auspicabile (e doverosa) la partecipazione dell’opposizione. Si sono da poco conclusi gli Stati Generali dell’Economia ‘per far ripartire l’Italia’. Non se ne è sentito parlare. Se non si riparte dalla scuola, da dove?”, si chiede Tuttoscuola.
L’impossibile ritorno allo status quo
Inoltre, la scadenza di settembre è alle porte, “ma c’è da temere che la scuola italiana ci arriverà nel peggiore dei modi, in un clima di tutti contro tutti. “Sembra che l’ampia autonomia attribuita alle scuole, un tempo invocata, sia ora vissuta come uno scarico di responsabilità da parte del governo nazionale sugli attori locali: i presidi, i genitori, gli insegnanti, che protestano”, afferma Tuttoscuola.
“Il ritorno generalizzato alla didattica in presenza comporterebbe la riduzione del numero di alunni per classe, e quindi l’aumento del numero di aule, il reperimento di nuovi spazi, turnazioni, corsi di recupero per chi è rimasto indietro e insegnanti aggiuntivi da assumere pro tempore, almeno fino alla scomparsa del virus, e quindi presumibilmente per tutto l’anno 2020-2021 – si afferma -.Una spesa ingente per cercare di ripristinare la scuola di ‘prima del Coronavirus’. Ebbene: secondo noi il ripristino dello status quo sarebbe non solo impossibile (basti pensare alla questione del distanziamento, del numero di alunni per classe, degli orari ecc…), ma profondamente sbagliato dal punto di vista strategico. È vero che la prolungata irresolutezza dei decisori politici sul da farsi a settembre ha fatto crescere la nostalgia per la (presunta) solidità della scuola pre-Covid, ma non si può sottovalutare la necessità e la convenienza di sfruttare l’interruzione, pur drammatica, della didattica e del modello organizzativo della scuola tradizionale per avviare una svolta radicale. Sembra esserne consapevole anche il ministro Azzolina, che nella sua ‘lettera alla comunità scolastica per la riapertura delle scuole a settembre’ si dice convinta di ‘poter davvero trasformare il dramma di questa crisi in una grande occasione di svolta’”.
“Bene. Ma qual è il progetto, qual è la svolta, quale la ‘vision’? – conclude - Per noi di Tuttoscuola, che all’inizio di questo tormentato anno scolastico abbiamo lanciato il viaggio tra le scuole italiane alla ricerca della ‘scuola che sogniamo’, dopo anni di analisi e proposte culminate nel settembre 2018 nel dossier ‘La scuola colabrodo’, una vera svolta si colloca all’intersezione di tre idee guida, rese attuali dalla grande accelerazione impressa dalla pandemia in corso: inclusione, personalizzazione, digitalizzazione”.