La dignità della domanda
Ognuno di noi ha delle domande, dentro, a cui non è possibile trovare adeguate risposte. Sono quelle domande profonde, che spesso sorgono in noi fin da bambini e che magari abbiamo imparato a ignorare, poiché ci hanno detto che sono domande “inutili, senza senso”.
Ma esse ritornano, pungono a volte come “una corona di spine” (D.M.Turoldo), cambiano modo di esprimersi, ma tornano. L'adolescente che si arrabbia col mondo racchiude spesso quel bambino che a suo tempo ha “chiesto” e non si è sentito accolto nel suo domandare.
L'uomo occidentale, in particolare, crede che le domande “vere” debbano essere solo quelle a cui si possa dare una risposta precisa, logica, all'interno di una causalità lineare. In tal modo continua ad illudersi di poter padroneggiare la realtà, di averne il controllo, a vantaggio del proprio egocentrismo, più o meno consapevole.
Sarebbe invece meglio passare dal considerare la realtà, la vita, come una serie di “enigmi o problemi” da risolvere, al considerarne il “mistero” (la parola viene dal greco e significa “fare silenzio”), cioè “verità' che si apre a noi e ci fornisce senso, dunque speranza e consolazione”(E. Bianchi).
Di fatto, quando ci poniamo pungenti “perché”, circa la sofferenza, la morte, l'esistenza, noi non cerchiamo solo una “causalità”, ma aneliamo ad un “senso”, aneliamo cioè a una risposta che sia conoscenza ed esperienza, ricerchiamo un “Bene” per il quale sentiamo di essere fatti, una meta acquietante, una felicità che sia proprio adatta a noi...in sintesi, una corrispondenza perfetta tra il nostro cuore e la verità. Che però non ci appartiene, rimane misteriosa, eccedente.
Che ne siamo consapevoli o meno, questo cerchiamo. Sant'Agostino, nel “De vita beata”, dice che non c'è nessun uomo al mondo che non voglia essere felice e che tutto quel che possiamo desiderare, che lo sappiamo o meno, è riassumibile in due sillabe: Deus.
Ecco allora che il senso dell'esserci va accostato secondo ciò che è ultimo, che sta nascosto nell'eternità. Il tempo può essere compreso e vissuto con dignità soltanto partendo da un “sovratempo”. Non dalla profondità dell'uomo, ma dalla profondità di Dio, emerge la verità dell'essere, viene alla luce la verità della vita umana. Vi è un ontologico riposare del finito nell'Assoluto: noi siamo in Dio prima che in noi stessi; Egli è Colui che mi ha dato a me stesso.
Anche se non troviamo risposte alle nostre domande più assillanti, possiamo riconoscerne la dignità ed avvertire un senso nel momento in cui affidiamo tutto a Dio, inscrivendole all'interno di un orizzonte di speranza.
Il senso che cerchiamo si illumina allora come “promessa” da parte di Dio, si illumina come “meta di bellezza”, che assume in se ogni legittima domanda, ogni ferita, ogni fallimento umani.
“Non c'è nessuna domanda al mondo, la cui risposta non si trovi già da tempo custodita nel Padre. Ogni domanda viene a partire dalla sua risposta e va verso di essa” (H.U.Von Balthasar).
Monica Cornali