L'anno liturgico: il primato è del mistero pasquale
Anno liturgico La Chiesa trova il senso del proprio celebrare l’Eucaristia nel comando del Signore: annunziare la sua morte, proclamare la sua risurrezione, nell’attesa della sua venuta
In questo memoriale della nostra redenzione celebriamo, o Padre, la morte di Cristo, la sua discesa agli inferi, proclamiamo la sua risurrezione e ascensione al cielo, dove siede alla tua destra; e, in attesa della sua venuta nella gloria, ti offriamo il suo Corpo e il suo Sangue, sacrificio a te gradito e fonte di salvezza per il mondo intero. (Messale Romano, Preghiera eucaristica IV)
Quando la Chiesa si raduna per celebrare l’Eucaristia, dopo aver pronunciato sul pane e sul vino quelle irrinunciabili e gloriose parole usate dal Signore Gesù nell’ultima notte della sua vita terrena, ripete sempre l’acclamazione che, debitrice della tradizione paolina (cfr. 1Cor 11,26), ci ricorda come, ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice, annunciamo la morte del Signore, finché egli venga. Cristo ha lasciato l’Eucaristia alla Chiesa comandandole di celebrarla come memoria viva e operante del suo essere crocifisso, sepolto e glorificato, affinché con la nostra comunione eucaristica – ottenuta la trasformazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue della Salvezza – trasformi noi comunicanti in un solo mistico corpo, in un unico invisibile spirito. Il fine ultimo del “sacramento dei sacramenti” è di costituire i credenti in unità, in comunione invisibile, per mezzo del Corpo e del Sangue del Signore, della sua Pasqua. Mai potremmo pensare la Chiesa come il risultato di un accordo o di una convenzione; essa non è nemmeno un’assemblea che si riunisce per condividere interessi comuni; non si realizza in forza di un pensiero dominante o di una convergenza di fini da perseguire. In Cristo morto, sepolto e risuscitato – e solo in lui – sta la grazia ineffabile che rende possibile l’unità e la comunione invisibile dei membri della Chiesa. La communio Ecclesiæ (comunione ecclesiale) precede l’esperienza che i credenti fanno della vita fraterna: la prospettiva che l’uomo sarebbe tentato istintivamente di assumere va rovesciata. La Chiesa è chiamata a riconoscersi costituita in unità dal Crocifisso risorto, configurata come un unico corpo unicamente per virtù del cibo e della bevanda eucaristici di cui si è nutrita. Allo stesso modo non possiamo che considerare l’anno liturgico a partire da un simile mistero di unità e dunque in stretta connessione con la celebrazione dell’Eucaristia, pur se è naturale venire attratti dall’abbondanza e dalla variabilità che il circulus Anni porta con sé. L’Avvento o il tempo di Natale, la Quaresima o il Triduo Pasquale, i martiri o gli apostoli, le feste del patrono o le memorie della Beata Vergine Maria: sono una molteplice ricchezza che la Chiesa riconosce nelle proprie membra... Esempi di virtù, gesti eroici di santità, tempi di penitenza o di vigilanza, memorie e feste di martiri o di santi dei nostri giorni o del passato appaiono, a uno sguardo superficiale, quasi una “didascalia evangelica”, un modo per rendere il Vangelo “attuale”, “concreto”, “convincente”... In realtà i molteplici colori e forme che l’Anno del Signore ci propone, come l’esistenza paradigmatica di uomini e donne virtuosi o il legame con un tempo di dolore o uno di esultanza, con la celebrazione di questo o di quel santo, di questo o quel clima spirituale, non emergono per dare un “tema” all’Eucaristia. Essa rimane al di sopra di simili tentativi e approssimazioni: la Chiesa non può trovare il senso del proprio celebrare l’Eucaristia nelle gesta di un uomo sublime o nella specificità del “Tempo tra l’anno” rispetto a quello di Natale, ma solo nell’unica realtà che si lega al comando del Signore: annunziare la sua morte, proclamare la sua risurrezione, nell’attesa della sua venuta. L’Anno del Signore non va pensato come l’occasione in cui, settimana dopo settimana, riassumere tematicamente una sorta di commemorazione della vita del Signore. Una tale deriva ci condurrebbe a relegare l’opera di Cristo nella storia già trascorsa e ci chiederebbe di accontentarci di parole edificanti confinate al passato o di esempi di cristiani che solo ci ispirino con le loro virtù. Verrebbe così a sparire completamente la perennità di Cristo rispetto a ogni divenire e, anziché essere lui a tenere nella propria mano i secoli, la sua parola e la sua vita si ridurrebbero a memoria del tempo andato, di un passato straordinario. La prospettiva secondo cui l’anno liturgico e l’Eucaristia stanno insieme va individuata proprio nel vigoroso e insostituibile primato del mistero pasquale: il Signore Gesù crocifisso, sepolto e risorto palpita, con tutta la sua offerta sacrificale e la sua gloriosa potenza, in quel pane e quel calice trasfigurati dallo Spirito Santo. Gli eventi della vita di Cristo, ciò che i discepoli hanno vissuto e testimoniato, il tempo della Passione o della gloria, o il tempo della vita pubblica o dell’infanzia non hanno senso se non come ombra e anticipo della sua Pasqua di morte, sepoltura e risurrezione. I santi e le sante, che popolano con la loro intercessione la Chiesa e che celebriamo nel corso dell’Anno del Signore, non sono nient’altro che un’epifania della potenza pasquale di Cristo, un modo per dire che il bene e la verità non appartengono alla loro vita ma fanno risplendere la luce del Risorto.
Rete mondiale di preghiera per il papa: dicembre
Intenzione di preghiera del papa Preghiamo perché le persone con disabilità siano al centro dell’attenzione della società, e le istituzioni promuovano programmi di inclusione che valorizzino la loro partecipazione attiva.
Intenzione dei vescovi Preghiamo per le persone senza dimora: perché le loro esistenze, spesso invisibili ai nostri occhi, diventino storie a cui rivolgere i nostri sguardi, convertano i nostri cuori, e ci rendano capaci di riconoscere e accogliere quanti vivono intorno a noi.
don Gianandrea Di Donna
Direttore dell’Ufficio per la Liturgia