L'Arcella, il nostro quartiere che profuma di spezie
Francesco Spagna, docente dell'Università di Padova, da ex-autoctono del quartiere Arcella, ha scritto un libro sapientemente mescolando riferimenti autobiografici a un'analisi più antropologica. Il suo invito è quello di scoprire la realtà addentrandosi nelle viuzze, scegliendo quattro tipi differenti di passeggiate per vivere profondamente l'Arcella e le sue molteplici trasformazioni
Percorsi da fare a piedi, passeggiando e mescolando antropologia urbana a odori, sensazioni, sguardi e incontri. Percorsi lungo strade secondarie, squarci pedonali o ciclabili per addentrarsi nella profondità di un quartiere che negli ultimi 50 anni ha vissuta una grande trasformazione che continua tutt’oggi. Ma che conserva la bellezza dei giardini, delle viuzze tranquille e delle villette art déco che si alternano ai nuovi centri di connessione globali, giustapposizioni pacifiche e contaminazioni culturali come possono essere, per esempio, i giardini pubblici.
E’ il senso di lettura di “Il nostro quartiere profuma di spezie – Antropologia urbana all’Arcella” (Etnografie patavine) libro che porta la firma intima e personale di Francesco Spagna, docente dell’Università di Padova e a lungo “autoctono” del quartiere avendoci vissuto per oltre 15 anni. Promosso dal progetto ContArcella , per lui è stata un’occasione per ritornare sui sentieri della sua gioventù riscoprendo angoli completamente trasformati.
Il libro diventa così un invito a volgere uno sguardo non indifferente, boicottando quella stessa indifferenza che secondo Antonio Gramsci «è il peso morto della storia…la palude che recinge la vecchia città». L’Arcella, il quartiere a nord di Padova, è invece un’apertura al mondo che avanza, una zona interculturale dai risvolti curiosi e affascinanti, senza dimenticare i problemi, ma neppure non notare la sorprendente vivibilità:
«Ricordavo fabbriche abbandonate, luoghi pericolosi o lo stesso parco Milcovich con l’erba alta, le siringhe e zona di spaccio – dice Spagna – e adesso sono stati trasformati in parchi pubblici, roseti o orti urbani. L’Arcella è un quartiere che sta sperimentando una dimensione multiculturale e forme avanzate di convivenza: sì, c’è stato un forte incremento della popolazione straniera con un processo accelerato e post-traumatico per cui uno scenario metropolitano trasformato crea problemi agli autoctoni che escono di casa e sentono suoni sconosciuti o nuovi visi all’interno dei negozi. Però attenzione perché intervistando gli abitanti si scoprono sfumature che rovesciano questa prospettiva»
L’aggettivo possessivo all’interno del titolo o il registro autobiografico adottato in alcuni passaggi evidenziano il coinvolgimento dell’autore che, quasi calorosamente sottobraccio, prende il lettore e lo porta a superare la barriera di cliché e retropensieri. Nel libro ricco di personali annotazioni, il professore Spagna consiglia quattro passeggiate e una mappa, lontana dalla presunzione di essere esaustiva e unica, che segnalano le stratificazioni storico-culturali del quartiere e i punti più significativi per comprendere lo scenario multiculturale.
Dall’Arcella operaia al confine con le zone rurali a luogo di rapida e disordinata espansione urbana, di immigrazione e convivenza racchiusa in spazi significativi. Come via Jacopo da Montagnana, una traversa di via Tiziano Aspetti dove sorge il centro di preghiera della comunità bangladese a due passi dalla chiesa di Sant’Antonino: «Questa esperienza di ricerca etonografica mi ha portato alla considerazione che questo livello di vicinanza determina comunque un mescolamento che lo si voglia o no. Per cui quella che gli inglesi chiamo “ethncity”, etnicità e corrisponde all’idea di multiculturalità è il prodotto di questa convivenza: in certi giorni possiamo vedere una ventina-trentina di uomini vestiti con il caffettano e con folta barba per cui l’abitante storico dell’Arcella può trovarsi improvvisamente davanti a questa scena che lo destabilizza e che, sussurrata nelle orecchie da una certa politica, gli rievoca qualcosa di negativo come sostituzione, invasione o che stanno togliendo gli autoctoni per imporre gli stranieri. Insomma, idee che stanno erodendo la nostra coscienza civile».
Francesco Spagna vuole ricostituire, invece, questa smarrita coscienza civile: attraverso le lenti della sua ricerca condotta intervistando tre tipologie di soggetti (autoctoni, immigrati di prima o seconda generazione e giovani studenti di varie provenienze), vuole consegnare una riflessione differente sull’Arcella, un quartiere che “produce processi e non soltanto li patisce”, che vive dell’attivismo dei suoi cittadini, dei suoi vissuti storici e di fede.
Contrastare la paura diventa così un dovere civile, un impegno che tocca a tutti per ridurre la paura dell’altro che distrugge relazioni e il senso di cittadinanza. E rispolvera la felice intuizione che ebbe il sociologo Georg Simmel nel libro “La metropoli e la vita dello spirito” nel quale parla dell’atteggiamento blasé del cittadino di una metropoli abituato al fatto che può succedere di tutto e non si lascia impressionare dal “nuovo” o dalla “stranezza”, ma anzi continua a camminare: «Se, come già avviene o avverrà con più coscienza, non ci meraviglieremo più vuol dire che l’Arcella, quartiere periferico di una piccola città, sta assumendo tratti di città metropolitana. Non può che avere effetto sui paradigmi teorici del multiculturale, perché quello che è possibile a Londra e paradossalmente non è possibile nella campagna inglese confinante, può succedere qui. Per cui fare un discorso “nazionalistico” come lo stiamo sentendo adesso è una cosa che si sta sgretola sull’onda di un processo che è ormai in corso da decenni e che inserisce elementi da metropoli anche in città medie, piccole o persino nei paesi».