Il coraggio creativo di Giuseppe
La figura del patrono della Chiesa universale diventa riferimento a cui ispirarsi in questo particolare momento della storia. Papa Francesco ha aperto la strada con la lettera apostolica Patris corde: ora tocca a noi servire lʼumanità più fragile e ferita con il suo stile
L a Chiesa celebra il 19 marzo la festa di san Giuseppe, con l’appellativo di patrono della Chiesa universale. In un grande momento di fragilità della Chiesa, allora quasi identificata con gli Stati pontifici, (20 settembre 1870, breccia di porta Pia) papa Pio IX l’8 dicembre 1870 mette tutta la Chiesa sotto la protezione di san Giuseppe. Papa Francesco con la lettera apostolica Patris corde (Con cuore di padre), l’8 dicembre 2020, mentre ne ricorda il 150° anniversario, intende indicare alle comunità cristiane «la straordinaria figura tanto vicina alla condizione umana di ciascuno di noi», ancor più in questo particolare tempo di pandemia «dove le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni, solitamente dimenticate» e aggiunge una lunga lista di comuni cittadini, uomini e donne «di seconda linea» che «hanno compreso che nessuno si salva da solo». Chiama san Giuseppe con nomi precisi, meravigliosi e carichi di significato: padre amato, padre nella tenerezza, padre nell’obbedienza, padre nell’accoglienza, padre lavoratore, padre nell’ombra. È particolarmente ispirato quando lo chiama padre dal coraggio creativo. Leggere i Vangeli dell’infanzia di Gesù mettendo al centro il coraggioso creativo Giuseppe di Nazareth li rende luce e forza per tutti coloro, persone singole o istituzioni, che vivono e operano nella fragilità. San Giuseppe fu padre dal coraggio creativo nel viaggio obbligato verso Betlemme, nell’andata e ritorno dall’Egitto, nella vita della santa famiglia a Nazareth, e ancor prima nel turbamento di sapere la sua promessa sposa incinta.
Oggi è tempo di coraggio creativo. La Chiesa, chiamata a servire la creatura di Dio, l’umanità nella creazione, illuminata dalla Parola, cerca nei segni dei tempi, la fedeltà al suo Signore a cui è giunto il grido degli impoveriti e il gemito della creazione. Come rispondere a Dio che chiede: dov’è tuo fratello?, alla samaritana che cerca acqua, al ferito sulla strada verso Gerico, alla ricerca di senso del giovane malato di vivere, all’Amazzonia e ai suoi popoli, alla Repubblica democratica del Congo e ai suoi bambini soldato e schiavi nelle miniere di coltan, ai profughi, esiliati e migranti, ai delusi e scandalizzati dall’incoerenza e corruzione di tante istituzioni, anche religiose, agli scartati, umiliati e uccisi dalla finanzia liberista?
Sono le domande di sempre. La Chiesa sta dando la sua risposta con proposte di ideali improntati alla spiritualità, alla fraternità e al rispetto dei diritti dell’uomo e della terra, e con azioni rivolte all’umanità ferita, in cui riconosce il suo Signore. La Chiesa esce per incontrare l’uomo e camminare con lui, sui passi di colui che si è incarnato, e che da Dio si fece uomo.
In questo anno alcuni date ci riportano alla sorgente e al centro del carisma e dell’azione missionaria comboniana: 190 anni dalla nascita di Daniele Comboni (Limone sul Garda, 15 marzo 1831) e 140 anni dalla morte (Khartoum in Sudan, 10 ottobre 1881); 100 anni dall’arrivo dei Comboniani, allora Missioni africane, a Padova. È tempo di grazia, tempo di grandi fragilità e tempo di straordinario coraggio creativo.
Come tutti i comboniani nel mondo, anche la comunità comboniana di Padova chiede allo Spirito il coraggio creativo per inventare la sua presenza, in questa Chiesa e in questo territorio, per annunciare il vangelo della gioia e la sua attenzione ai più poveri e abbandonati rincuorata da san Daniele Comboni: «Coraggio per il presente e soprattutto per il futuro».
padre Gaetano Montresor
superiore della Comunità comboniana di Padova