Il bello della scuola. In questa sosta forzata i ragazzi sentono la mancanza dell'ambiente scolastico
Il valore aggiunto delle relazioni, dello scambio, del confronto, della litigata o della risata condivisa è ben altro.
“La scuola senza il bello della scuola”. Così, laconico, un adolescente commentava nei giorni scorsi l’esperienza di “didattica a distanza” che stava vivendo chiuso nella sua camera – o nella sua “tana”, se avete presente cosa sia la camera di un adolescente – davanti a un computer che rimandava – a scatti, causa connessione insufficiente – l’immagine e la voce di docenti e compagni di classe.
Bisogna prenderla anche con un po’ di ironia questa emergenza Coronavirus che costringe ad avventurarsi in terreni poco esplorati, come quello della “scuola senza scuola”, provocando grandiose spinte in avanti – che stimolo all’uso delle tecnologie: se si pensa da quanti anni se ne parla e come invece si sia proceduto finora lentamente nell’adeguarsi – e nello stesso tempo impensabili (ri)scoperte di tanto vituperati ambienti e situazioni: le aule affollate (chi non si lamentava?), i compagni molesti (quanti ce ne sono?), gli insegnanti noiosi (sempre, senza eccezioni).
Eppure, nel tempo delle lezioni al pc, ecco che un adolescente sente la mancanza del “bello della scuola”, che non è esattamente la possibilità di ascoltare un docente o di maturare nuove conoscenze e competenze disciplinari. Intendiamoci, nessuna intenzione di svilire questo aspetto, ma quel “bello” si riferisce ad altro: alla relazione quotidiana con i compagni, alla battuta impertinente in aula, alla discussione e al rimprovero talvolta inevitabile – e subìto, naturalmente, come un’ingiustizia – ai mille escamotage studiati quotidianamente da ragazzi e ragazze per “ingannare” il tempo della lezione, per vivere esperienze di complicità che si coalizzano nel microcosmo fatto di sedie, banchi, cattedra, coetanei e adulti.
Quello che sta succedendo alla nostra scuola e ai nostri ragazzi è un po’ questo: una fuga in avanti forzata – con l’attivazione di sacrosanti strumenti per i quali siamo spesso in ritardo – e insieme la possibile crescita di consapevolezza rispetto al ruolo reale del mondo scolastico. Serve studiare, occorre incrementare bagagli di conoscenze e abilità, conquistare competenze di base e specifiche, garantire la “trasmissione” della cultura: mettiamola così. Nello stesso tempo è evidente che questi obiettivi non solo non sono gli unici, ma forse per essere pienamente raggiunti devono comprendere un mix di condizioni che deve realizzarsi ogni volta.
Qualcuno ha osservato che la scuola a distanza c’è da sempre, da ben prima dei computer e dei collegamenti Skype. I libri, in fondo, è stato detto, sono una cosa del genere: si legge, si studia, si impara anche a casa, da sé. Ma il valore aggiunto delle relazioni, dello scambio, del confronto, della litigata o della risata condivisa è ben altro. Il digitale è comunque un passo avanti. Non abolisce le relazioni, le trasforma. Tuttavia torna come un monito la frase di quell’adolescente un po’ spocchioso come lo sono quasi tutti a quell’età: manca il “bello” della scuola. “Manca il fare casino”, ha precisato, usando un termine non proprio british. Però efficace. E probabilmente ben chiaro anche ai docenti: quel “casino” che è anche – quando non eccede, naturalmente, ed è ben guidato dai professionisti della scuola, gli insegnanti – coltura di creatività, scintilla di movimento per l’apprendimento di ciascun allievo, punto di partenza di un cammino complesso di crescita accompagnato sovente da allegria e gioia per tutti i protagonisti. Ecco il “bello” della scuola.