Così forti, così fragili. La pandemia si è portata via una parte di memoria, falcidiando gli anziani
Nel corso di queste dure settimane i nipoti adolescenti hanno spiegato ai nonni i segreti delle videochiamate, oppure degli acquisti online.
In questi giorni di quarantena da Covid-19 molte famiglie hanno esposto il tricolore dalle finestre o sui balconi delle proprie abitazioni. E’ stata una delle prime azioni “a caldo”, assieme agli appuntamenti canori delle 18 in nome della “resistenza” (o resilienza) a questa reclusione.
Resistenza e tricolore sono parole del secolo scorso, evocative, fanno parte del bagaglio del nostro passato e ci identificano. Esporre il tricolore significa affermare con orgoglio e senso di appartenenza “sono italiano”. La bandiera, in questa situazione così critica, non ha lo stesso signficato che assume in occasione delle competizioni sportive. Non è un fatto di agonismo. La bandiera è un chiaro riferimento alle nostre tradizioni e alla nostra storia, un invito a ricordare a noi stessi chi siamo.
Un fatto significativo questo, soprattutto perché il Coronavirus ha minacciato e minaccia ancora, purtroppo, quella fetta della popolazione che a queste tradizioni e al passato è legato più di noi: gli anziani.
La pandemia si è portata via una parte di memoria, falcidiando gli anziani. Per fortuna molti di loro restano ancora con noi, siamo riusciti a proteggerli e continueremo a farlo. I più fortunati sono riusciti a ospitare e custodire i nonni nelle proprie case e a condividere con loro questi giorni atipici. Nella quotidinianità le generazioni si sono mischiate e confrontate davvero, soprattutto hanno davvero vissuto la reciprocità.
Venivamo dalle consuetudini della domenica dove l’incontro tra generazioni avveniva in occasione del pranzo di famiglia, una situazione strutturata ma anche convenzionale. L’emergenza ci ha strappato anche le abitudini dei giorni di festa e quindi l’incontro si è spostato, sta avendo luogo nelle piccole azioni quotidiane. Nel corso di queste dure settimane, in molti casi, i nipoti adolescenti hanno spiegato ai nonni i segreti delle videochiamate, oppure degli acquisti online. Le generazioni Millenials e Z hanno fatto sedere la generazione della ricostruzione postbellica sulle proprie ginocchia davanti al monitor del pc e hanno mostrato loro che per la chiamata in video occorre staccare l’orecchio dal ricevitore!! Sono andati assieme in pesca di vecchi film in streaming e di notizie del passato per fare paragoni.
La generazione della ricostruzione, dal canto proprio, ha messo a disposizione dei giovani nipoti quell’attitudine al vivere semplice di un tempo, alla frugalità a cui si era abituati negli anni in cui il poco sembrava molto.
Singolare anche la ribellione di alcuni anziani, quelli che nei Tg hanno segnalato per “indisciplina” e sono stati redarguiti per essere usciti senza motivo valido a passeggiare nelle strade. Forse anche questo fenomeno, oltre a evidenziare l’irrequietezza tipica di una certa età e di certa solitudine, ha marcato la differenza fra chi era abituato a vivere “fuori” e chi, invece, rintanato in casa non sta poi così male, soprattutto per via del patologico attaccamento alla tecnologia.
Insomma in questi giorni ciascuno di noi ha messo in gioco la propria esperienza e il proprio talento e lo ha mischiato a quello degli altri compagni di reclusione. Ci saranno state senz’altro anche delle frizioni, legate proprio a questa diversità, ma l’approfondimento porterà dei frutti.
La memoria e la fragilità dell’umana esistenza sono stati fino a poche settimane fa gli aspetti più sommersi della nostra società. Gli anziani hanno incarnato entrambi gli aspetti e anche, paradossalmente, l’elemento della “forza”, la tenacia dello stare radicati. La fragilità, quindi, e la forza sono complementari. Lo scopriamo ora più che mai. Anche questo è un messaggio importante per i nostri ragazzi. Si può essere fragili ed esposti, ma al contempo anche forti e risoluti. Gli anziani, poi, si portano dietro la borsetta dei farmaci, e le varie appendici tipiche della vecchiaia. Nella convivenza si è familiarizzato quindi con la malattia e la sofferenza del corpo.
Insomma, quante esperienze in questo tempo dilatato. Speriamo di poterle portare con noi ben oltre la Fase 2.