Cosa significa essere madre? La bioetica e la maternità surrogata
La maternità surrogata, o gestazione per altri, oggi è vietata in Italia anche se fatta all’estero. Ma il dibattito è acceso sulle implicazioni bioetiche di questa stessa pratica
La maternità surrogata è una realtà spesso sconosciuta nei suoi aspetti articolati e complessi, per niente chiari. Occorre conoscere bene la realtà se si vuole riflettere sulle dinamiche relazionali e sulle implicazioni etiche e giuridiche che ne emergono per valorizzare la dignità delle persone e il bene sociale in tutte le loro dimensioni. Il 16 ottobre il Senato ha approvato la legge (già votata alla Camera il 26 luglio 2023) che estende il reato riguardante la promozione o la realizzazione della maternità surrogata anche ai cittadini italiani che lo commettono all’estero e non più solo a chiunque lo commette in Italia come dal 2004, lasciando invariata la pena prevista, da tre mesi a due anni di carcere e il valore della multa da 600 mila a un milione di euro. La questione politica e parlamentare del “reato universale” – che ha sottolineato così la gravità morale e giuridica della pratica a livello mondiale, come avevano già fatto altri Stati e istituzioni ma anche gruppi di femministe – ha però spostato il problema dopo la maternità surrogata, cioè dopo che è accaduta: sul reato da una parte, per i favorevoli, e sulla rivendicazione della condizione giuridica di filiazione e di genitorialità dall’altra parte, per i contrari. Mentre la vera questione bioetica e giuridica è a monte, risiede nel percorso di realizzazione della maternità surrogata. Nel convegno dal titolo: “Maternità surrogata, gestazione per altri, utero in affitto. Un’occasione di riflessione etica e giuridica”, tenutosi a Venezia il 18 ottobre, si è sottolineato che queste diverse formule, per descrivere uno stesso fatto, esprimono percezioni diverse della stessa realtà, da punti di vista complementari o addirittura opposti. “Maternità surrogata” contiene un aggettivo che in italiano rimanda a generi alimentari e in bioetica deriva dall’angloamericano surrogacy, cioè maternità sostitutiva o per procura. “Utero in affitto” riduce la donna alla funzione biologica di un organo, dimenticando non solo l’intera dimensione corporea della donna ma negando le dimensioni psicologica e personale della gravidanza, intesa pure in senso materno-filiale, per non dire l’idea commerciale che veicola la parola “in affitto” sostituita a volte con “in prestito” per sfuggire alle critiche. “Gestazione (gravidanza) per altri” ha lo scopo di “neutralizzare” il legame tra la madre gestante e il figlio in un’apparente pratica altruistica. Come è accaduto con l’espressione americana surrogacy che ha sostituito surrogate motherhood, sembra debba scomparire ogni riferimento alla madre: scompare il volto della madre gestante, come in tante immagini sul tema. L’etica si trova già in nuce nelle parole e nelle immagini: il volto scomparso di una donna e il corpo in gravidanza senza volto indicano la depersonalizzazione della donna madre nel processo procreativo della maternità surrogata. Madre e padre di intenzione (quelli che hanno commissionato il bambino) poggiano le mani sul ventre gravido di una donna incinta: il gesto paterno di legame relazionale e biologico, frutto dell’amore coniugale e sessuale, diventa gesto materno-paterno di intenzione (se non di proprietà o di possesso psico-fisico). Le voci di alcuni esperti sul tema ci aiutano a riflettere su come la maternità surrogata faccia sorgere in modo diverso le domande fondamentali e originarie: Cosa significa avere figli ed essere genitori? Cosa significa essere madre? Cosa significa essere figli? Qual è il significato della famiglia? Quando la dignità umana di tutte le persone coinvolte è pienamente rispettata?
Ecco dove la maternità surrogata è legale in Europa
Nella cartina a fianco, la situazione europea rispetto alla maternità surrogata. In rosso i Paesi in cui è vietata in ogni forma (tra cui Italia, Francia e Spagna), in verde chiaro dov’è ammessa in forma solidale (non a fronte di somme di denaro), in verde intenso i Paesi che non hanno una legislazione in materia, in verde scuro tutti gli Stati che la ammettono in ogni sua forma.
Facciamo chiarezza sui termini
Dal punto di vista giuridico, la maternità surrogata o gestazione per altri (detta anche “utero in affitto”) è un accordo – che spesso si esplicita in un contratto vero e proprio – con il quale una donna si impegna a portare avanti una gravidanza per una coppia (omo o eteroaffettiva) o un single, impegnandosi a consegnare a costoro il bambino dopo la nascita. La surrogazione è gestazionale quando la gestante accoglie un ovulo fecondato di un’altra donna, si dice parziale o tradizionale quando l’ovulo è suo e quindi è anche la madre biologica del bambino.
Nati nel mondo con la maternità surrogata
Nel mondo la maternità surrogata è legale negli Stati Uniti, in India e in Ucraina. Nel Canada e nel Regno Unito è legalizzata solo se gratuita. Il fenomeno è in gran parte sommerso quindi non è semplice rilevare numeri precisi. In Italia si stima che ogni anno 250 coppie si affidino alla maternità surrogata, il 90 per cento delle quali è eterosessuale, dato in linea con quello dell’Università di Barcellona che valuta nel 15 per cento le coppie omosessuali che vi ricorrono. Si stima che in India e in Ucraina ogni anno nascono 2 mila bambini tramite maternità surrogata, mentre negli Stati Uniti la stima si aggira sui 1.300 bambini e nel Regno Unito sui 500 nuovi nati. Un sondaggio statunitense rivolto a coppie americane, britanniche e asiatiche, comprova che il 68 per cento è ricorso a un’agenzia, mentre nel 12 per cento dei casi la madre surrogata è una persona conosciuta.
Le norme italiane. Mamma e bambino: la dignità va riconosciuta
Mater semper certa est, recita un antico brocardo, proveniente dal diritto romano. Per migliaia di anni, la massima è valsa nella storia dell’umanità, ma nel 1978 qualcosa è cambiato, quando ha visto la luce Louise Brown, la prima bambina concepita in vitro. «Nella nostra epoca, potremmo dire che mater semper certa erat – riflette Elisabetta de Septis, avvocato e docente di Biodiritto alla Facoltà di diritto canonico San Pio X di Venezia – Con la pratica della maternità surrogata le madri sono tre: la madre genetica, che mette a disposizione la cellula uovo; la madre gestazionale, che porta in grembo il feto durante la gravidanza; la madre sociale o d’intenzione, la committente del bambino». La maternità surrogata in Italia è vietata dall’articolo 12 comma 6 della legge 40 del 2024, legge che – come precisa l’art. 1 – «assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». «Questa sottolineatura della norma – continua de Septis – è fondamentale perché riconosce al concepito una sua dignità, non è quindi un oggetto, un “prodotto” ottenuto in laboratorio, ma una forma di vita fisiologicamente orientata alla acquisizione dello status di persona». Negli anni la Corte costituzionale si è occupata più volte della materia e nella sentenza 272 del 2017 della maternità surrogata scrive che «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane». Nel 2016 si è pronunciato anche il Comitato nazionale per la bioetica con una mozione in cui si legge: «Il corpo umano e le sue parti non debbono essere, in quanto tali, fonte di profitto» e più avanti «la maternità surrogata è un contratto lesivo della dignità della donna e del figlio sottoposto come un oggetto a un atto di cessione», parlando infine di «commercializzazione e sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive». Il rischio, riprende la prof.ssa de Septis, «è proprio che la donna venga utilizzata come puro involucro, come un contenitore. Specie nelle forme retribuite della surrogazione, che infatti avvengono principalmente nei Paesi poveri, come l’India. Un commercio puro basato su cifre che nei Paesi in via di sviluppo partono dai 40 mila euro per arrivare ai 160 mila o anche ai 200 mila euro negli Stati Uniti. Il contratto banalizza la gravidanza e spesso riporta clausole molto invadenti sullo stile di vita della madre gestazionale». Ma se il tema della dignità della donna tende a non essere trattato, ancora meno si percepisce il tema dei diritti del bambino «il quale viene privato del legame fondamentale e soprattutto non potrà di fatto risalire alle sue origini com’è diritto di ogni persona, anche di chi è stato adottato».
Il Fatto. La libertà della donna, il potere della tecnica
Vale di più il diritto a un bambino o il diritto del bambino? È una della grandi questioni legate alla maternità surrogata. «Il grande invisibile in questa tematica è proprio il bambino – commenta Giulia Bovassi, ricercatrice assistente della Cattedra Unesco di Bioetica e Diritti Umani dell’ateneo pontificio Regina Apostolorum – Il rischio è la commercializzazione di un bambino che viene ridotto a oggetto biologico. E questo non avviene dopo la nascita, con il distacco dalla madre gestazionale, ma fin dal principio. Il desiderio di un figlio e l’accoglienza del totalmente altro, di cui non si può disporre, si trasformano nella pretesa di un bambino, che spesso le agenzie che si occupano di maternità surrogata permettono anche di scegliere nei suoi elementi fisici o caratteriali. Dobbiamo interrogarci sullo statuto ontologico del feto: se non è membro della specie umana e quindi una persona, allora che cos’è? Da questa risposta dipende la possibilità di commercializzare o meno il nascituro». Il quale nel grembo della madre vive il suo primo microcosmo, legame fondamentale materno-fetale che viene violentemente spezzato. Nella surrogazione è insito un problema di giustizia sociale: «L’idea che la gravidanza sia un servizio – continua Bovassi – nega il fatto che la maternità sia un processo sia biografico sia biologico. Nei nove mesi di gravidanza, la madre rinasce assieme a suo figlio, è in quel passaggio che da figlia (l’unica esperienza comune a tutti gli esseri umani) diventa madre. Se poi consideriamo che pratiche come questa avvengono per lo più in Paesi segnati da povertà o coercizione dei diritti della donna, si pone il tema del consenso informato: davvero una donna è libera di scegliere? In molti casi problemi economici e culturali possono incidere profondamente su un processo decisionale». Non secondario è il tema del rapporto tra l’uomo e la tecnica, in un contesto storico in cui tutto ciò che è possibile, sembra diventare immediatamente legittimo. «Lo strapotere tecnologico sembra proiettarci in una dimensione antropotecnica. La maternità surrogata è un fenomeno possibile solo grazie alla tecnica, al pari dell’intelligenza artificiale, che pare proiettarci in una condizione tecnoumana. La domanda chiave è: come la tecnica sta cambiando la ricerca di senso dell’uomo? Sembra che tutto possa risolversi nel tecnocentrismo: la tecnica non è più un accessorio per realizzare aspirazioni e progetti, ma la fonte stessa capace di ispirare desideri e riflessioni, specie se mettiamo da parte la dimensione trascendentale dell’uomo».