Con quali parole? Una domanda che irrompe di fronte alle estreme solitudini
Oggi il virus cancellando molte esistenze ha svuotato altrettante parole che davano sicurezza, offrivano speranza, promettevano felicità.
“…pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto e con retta coscienza”.
Come rispondere, nel tempo dell’angoscia e della sofferenza, all’invito che Pietro rivolge nella sua prima lettera?
Non c’è il rischio di ricorrere a parole, anche belle e vere, che non arrivano a un cuore che scoppia, che è scoppiato dal dolore e dalla paura?
Sono domande che graffiano, sono domande che turbano.
Si cercano parole che non illudano, che non scoraggino, che non allontanino dalla ricerca del senso di vivere, quanti, cristiani e non cristiani, leggono nella tragedia l’assenza di Dio.
Un parroco di una diocesi lombarda ha scritto: “Signore non so più come giustificarti!”. E’ la domanda che si sono posti anche teologi e filosofi di fronte alle tragedie che spesso hanno lacerato la storia dell’uomo.
Quali risposte? Oggi il virus cancellando molte esistenze ha svuotato altrettante parole che davano sicurezza, offrivano speranza, promettevano felicità.
Ma altre parole sono nate o antiche parole si sono rinnovate.
E’ nata una comunicazione, fatta di silenzi, di sguardi, di gesti, una comunicazione che ha portato alla luce “qualcosa” di diverso, di sorprendente, di vero.
E’ apparsa una umanità ribelle all’indifferenza, al rifiuto, alla diffidenza. Un’umanità che ha spalancato le sue braccia.
Dio parla attraverso questa umanità?
Se per alcuni Dio è assente nelle sale di terapia intensiva dove si muore nell’estrema solitudine, per altri il volto di Dio è nei volti di medici, infermieri, operatori sanitari, volontari.
Risuona l’esclamazione di padre Massimiliano Kolbe inginocchiato davanti alle vittime di una diversa violenza: “Et Verbum caro factum est”: poi offre la sua vita per salvare quella di un padre di famiglia.
Sono parole difficili, se non impossibili da pronunciare, da rendere credibili.
Torna l’appello di Paolo: “…pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto e con retta coscienza”.
Con quali parole dire le ragioni della speranza se non si è giunti alla sua soglia, se non si è bussato alla sua porta, non si è entrati nella sua casa, se non si è camminato con lei nelle diverse stagioni della vita?
Non c’è un prontuario con le risposte. C’è un incontro.
Incontro tra volti di cui, scossi dalle solitudini estreme, si avverte un’intima esigenza, si prova una nostalgia interiore. Con la consapevolezza che a questo appuntamento di volti si arriva con i passi della libertà.