Combattere i mostri. Ricordare oggi quanto accadde in Sicilia nel 1992 fa ha un grande valore, proprio per il mondo della scuola
La scuola, attraverso l’istruzione, la memoria e la costruzione faticosa e preziosa del senso critico, della responsabilità civica, combatte non solo la criminalità e la mafia, ma in generale una deriva della società verso la prevaricazione e gli interessi di parte.
Vale la pena di non passare sotto silenzio una ricorrenza come quella della celebrazione ufficiale in occasione del XXX anniversario delle stragi di Capaci e Via D’Amelio, svoltasi a Palermo il 23 maggio.
Chi erano i magistrati Falcone e Borsellino forse lo sanno tutti (gli adulti), o forse no (quanti studenti delle nostre scuola hanno magari sentito i loro nomi, ma non sempre hanno approfondito le loro biografie, il significato storico e valoriale per la costruzione della nostra comunità civile, il senso di una tragedia – la loro uccisione e da parte delle mafia – avvenuta ormai così tanti anni fa, 30, da scolorire nel tempo e nella memoria), tuttavia ricordare oggi quanto accadde in Sicilia nel 1992 fa ha un grande valore, proprio per il mondo della scuola.
Perché? Perché la memoria è la roccia su cui si può costruire la casa del futuro, la base solida che permette di non far scivolare le fondamenta di una società di domani che vorremmo migliore di quella di oggi e che inevitabilmente sarà affidata i nostri giovani, oggi studenti, in futuro attori sempre più decisivi degli scenari politici e istituzionali del nostro Paese.
Dunque la ricorrenza celebrata al Foro Italico Umberto a Palermo, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di uno stuolo di personalità – c’erano il Presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, la ministra dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, oltre alla Presidente della Fondazione Falcone, Maria Falcone – e in particolare del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, con una folta rappresentanza di studenti da tutta Italia, è stata ed è motivo di riflessione per tutti, da riprendere nel mondo scolastico.
“La scuola – ha detto nel suo intervento proprio il ministro Bianchi – fornisce alle studentesse e agli studenti le parole di libertà per sconfiggere la mafia” E rivolgendosi alle ragazze e ai ragazzi intervenuti con migliaia di lenzuoli a ricordare simbolicamente la ribellione degli stessi palermitani dopo le stragi del 1992, ha spiegato come la condivisione del trentennale delle stragi di Capaci e Via D’Amelio “è stata una lezione di educazione civica e alla legalità importante. La scuola insegna consapevolezza, appartenenza e comunità. Ricordare è fondamentale, perché non si vince la battaglia contro la criminalità organizzata una volta per tutte, bisogna farlo ogni giorno, con la cultura e l’istruzione”.
Poi ha aggiunto: “Queste ragazze e questi ragazzi e i loro 1.400 lenzuoli ci ricordano cosa è la pedagogia della legalità”. Annunciando anche che per l’anno prossimo c’è l’intenzione di “piantare nei giardini delle scuole un albero della legalità come quello che c’è a Palermo davanti alla casa del giudice Falcone. La scuola è la sfida più grossa alla mafia”.
Ecco: qui sta il punto. La scuola, attraverso l’istruzione, la memoria e la costruzione faticosa e preziosa del senso critico, della responsabilità civica, della consapevolezza di una condivisione di destino – intesa come appartenenza di tutti ad una comunità che è il Paese – combatte non solo la criminalità e la mafia, ma in generale una deriva della società verso la prevaricazione e gli interessi di parte. Verso il prevalere di quelli che un autore sensibile come Giorgio Gaber ebbe a definire “i mostri che abbiamo dentro”. Quelli che “inevitabilmente ci spingono alla guerra”.