Che cosa sta succedendo ai nostri giovani? Le cronache recenti ci raccontano di ragazzi allo sbando, violenti e tracotanti
Lo scontro regala il brivido della trasgressione, il delirio di onnipotenza e anche quella visibilità cui tanto si anela.
Le cronache recenti ci raccontano di adolescenti allo sbando, violenti e tracotanti. Amanti degli eccessi e legati al branco, pur se individualisti e tendenzialmente cinici. Sono notizie che preoccupano, anche perché nelle ultime settimane sembra di assistere a una escalation di episodi piuttosto gravi. Spesso a fare le spese di queste aggressioni estemporanee e imprevedibili sono i più deboli del gruppo, o qualche malcapitato di turno.
Che cosa sta succedendo ai nostri giovani?
Gli esperti sostengono che la radice di queste esplosioni irrazionali di violenza sia nel disagio, aumentato dopo le restrizioni vissute durante la pandemia, e nella mancanza di prospettive.
Matteo Lancini, psicoterapeuta e presidente della fondazione Minotauro di Milano, nel suo recente volume “L’età tradita. Oltre i luoghi comuni sugli adolescenti” (Raffaello Cortina editore, 2021), parla di “progettualità futura inesistente” e di mancanza di ascolto nei confronti dei giovani. Spesso il disagio si trasforma in nevrosi e genera ansia e panico, altre volte prende le forme dell’autolesionismo fisico e psicologico, altre ancora dell’isolamento, infine si manifesta con i comportamenti antisociali.
Lo scontro regala il brivido della trasgressione, il delirio di onnipotenza e anche quella visibilità cui tanto si anela. Per questo, sempre più frequentemente, i luoghi pubblici sono diventati teatro di risse o di raduni inquietanti.
Anche la famiglia e la scuola hanno le loro responsabilità. Molti genitori hanno perso ruolo e competenze educative all’interno di un nucleo familiare sempre più in crisi.
“I gruppi degli adolescenti e dei giovani non seguono più le rotaie costruite dalle precedenti generazioni, hanno, piuttosto, un baricentro proprio, che si colloca all’interno della ‘cultura giovanile autonoma’, come è stata definita dallo storico inglese Eric Hobsbawm, oggi ulteriormente amplificata dal social network. È una vera mutazione antropologica, che riguarda soprattutto le generazioni dei nativi digitali”. Spiega Massimo Ammanniti, psicologo dell’età evolutiva, nel suo volume “Adolescenti senza tempo” (Raffaello Cortina editore, 2018).
Questa “cultura giovanile autonoma” però ha anche dei riferimenti e dei modelli. Molto spesso “vivono nel web”, sono ragazzi senza arte né parte che hanno raggiunto notorietà e fortuna in maniera inconsueta. Tra questi spiccano gli “eroi” della musica trap, alcuni di loro nelle canzoni raccontano proprio quelle bravate, quelle aggressioni e quel disincanto che capita di leggere negli spiacevoli fatti di cronaca.
Dobbiamo poi fare i conti con i danni della rivoluzione digitale, che ha preso alcuni dei nostri figli in ostaggio, isolandoli psicologicamente ed emotivamente dal contesto, tenendoli con gli occhi incollati sullo schermo nero dello smartphone per un numero impressionante di ore. “Questa rivoluzione – avverte Ammanniti – plasma abbastanza in profondità il cervello dei giovani, influenzando la percezione e l’esperienza individuali”.
Anche un certo tipo di scuola fa la sua parte, quando non tenta il recupero di chi fatica a stare al passo rispetto agli altri, lasciandolo nel suo impasto di rabbia e frustrazione. Quando non si fa carico dell’educazione dei suoi studenti, che non è e non può essere un fatto privato, ma va condivisa a vari livelli e all’interno dell’intera comunità. Quando pensa solo a interrogare e a finire il programma come se gli individui che ha di fronte fossero solo dei vasi da riempire e non persone da ascoltare, far crescere e maturare.
Gli adulti, in generale, faticano a comprendere l’identità delle nuove generazioni, non replicano l’atavica magia del rispecchiamento e mancano di strumenti per comprendere i meccanismi contorti dei giovani.
È proprio questa complessità a chiedere alleanze e sinergie per forzare un blocco che altrimenti non troverà buone soluzioni.
Occorre dunque stringere attorno a questi ragazzi una rete che parta dalle famiglie, attraversi la scuola e si dispieghi per mezzo delle risorse del territorio. Occorre che finalmente lo sguardo della politica “veda” questi giovani e i loro nodi e si impegni a convincerli che le prospettive ci sono e anche i mezzi per realizzarle.