Agricoltura sociale. I campi italiani sono da primato anche per le attività dedicate alle persone in difficoltà
Fattorie sociali che significano assistenza e sostegno a famiglie in difficoltà, anziani, bambini, disabili e fasce più disagiate della popolazione.
L’agricoltura non produce solamente cibo. Dai campi arrivano anche tutela del territorio e dell’ambiente, così come attenzione agli altri. E’ quella che gli specialisti indicano come multifunzionalità agricola. Che, certo, è nata spesso per mettere una pezza ai disastrati bilanci delle imprese del comparto, ma che nel tempo si è evoluta e che, adesso, arriva a toccare ambiti d’azione particolari. E’ il caso dell’agricoltura sociale: attività impegnativa, che dalla produzione agricola strettamente intesa prende le mosse per arrivare a qualcosa di molto particolare.
Fattorie sociali, dunque, che significano assistenza e sostegno a famiglie in difficoltà, anziani, bambini, disabili e fasce più disagiate della popolazione. Un compito che, tra l’altro, proprio dopo la pandemia di Covid-19 assume un significato ancora più forte. Tanto da spingere Coldiretti a creare una rete nazionale delle fattorie sociali in grado di integrare il sistema dei servizi pubblici messo sotto pressione dalla crisi economica e sociale che si è generata. Proprio l’organizzazione dei coltivatori diretti, tra l’altro, il 14 luglio presenterà un primo rapporto su questi aspetti dell’attività agricola.
L’agricoltura sociale – occorre sottolinearlo -, non è nata comunque oggi. Lungo tutta la Penisola, nelle aree rurali come in quelle periurbane, da tempo sono sorte realtà molto diversificate. C’è chi si occupa di persone con problemi di dipendenza (droga e alcool in particolare), oppure chi si dedica ad attività particolari come l’ortoterapia, l’ippoterapia dedicate a disabili fisici e psichici di diversa gravità. Ci sono poi realtà che seguono il reinserimento sociale e lavorativo di persone emarginate (minori a rischio, disoccupati di lunga durata, ecc.), oppure che puntano allo sviluppo di un’attività agricola con l’obiettivo di migliorare il benessere e la socialità: sono nati nel tempo così gli “agriasili” ma anche aree dedicate ad orti per gli anziani.
Ed è certamente proprio in tempi difficili come questi che l’agricoltura sociale ha assunto significati ancora più importanti. “In un momento difficile per il paese come questo – dicono in Coldiretti -, l’agricoltura diventa così protagonista di un nuovo modello di welfare con progetti imprenditoriali dedicati esplicitamente ai soggetti più vulnerabili che devono già fare i conti con la cronica carenza dei servizi alla persona soprattutto nelle aree rurali. Una svolta epocale con la quale si riconosce che nei prodotti e nei servizi offerti dall’agricoltura non c’è solo il loro valore intrinseco, ma anche un bene comune per la collettività fatto di tutela ambientale, di difesa della salute, di qualità della vita e di valorizzazione della persona”. Welfare agricolo, dunque, che fa bene un po’ a tutti. E che significa comunque anche occupazione e un giro d’affari ormai più che milionario (oltre che forti risparmi per l’assistenza pubblica). Welfare che, evidentemente, deve avere alle spalle professionalità e attenzione non solo agricole. Le regole d’altra parte ci sono. Possono essere riconosciute come fattorie sociali le aziende agricole in forma singola o associata e le cooperative sociali il cui reddito da attività agricola sia superiore al 30% del totale. Oltre ad agricoltori, poi, devono esserci altre figure professionali che siano in grado di fornire i servizi sociali che fanno da contorno all’attività agricola in senso stretto. I destinatari sono, di fatto, le diverse categorie di persone in difficoltà.
Insomma, “agricoltori sociali” non ci si improvvisa. E’ questo è certamente un bene per tutti, anche per la stessa agricoltura che, comunque, con queste attività variegate ha certamente trovato un altro ruolo importante da ricoprire. Un ruolo, anzi, che accrescere la sua vocazione di base: produrre cibo (non solo materiale) per tutti.