Venerdì Santo. Don Patriciello: “Amare il nemico è eroico ma si può, seguendo l’esempio dei santi”
Il segreto? “Se riesco a vedere di fronte a me non più una persona cattiva, ma una persona più povera di me, che ha compreso di meno, io avverto addirittura che il Signore affida a me questo fratello, alle mie possibilità, alle mie capacità, mi sento responsabile”, spiega il parroco di Caivano
È Venerdì Santo. In questi tempi difficili, riecheggiano le parole di Gesù dalla croce: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Ma si può perdonare chi ci fa del male? Ed amare, addirittura, il nostro nemico, come ci chiede Gesù sempre nel Vangelo? “Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male”. Ciò che umanamente è molto difficile, diventa possibile, sotto la croce, nella logica di Dio. È il cammino, per niente scontato, che hanno percorso i santi. Ma è una strada percorribile da tutti. Ne parliamo con don Maurizio Patriciello, parroco a Caivano, custode del suo popolo e del suo territorio continuamente vessati e invasi dalla protervia e dalla violenza della camorra. Recentemente è stata fatta esplodere una bomba fuori al cancello della parrocchia e posto un cartellone affisso con del ferro filato all’esterno della parrocchia di San Paolo Apostolo con la scritta “Bla bla bla. Pe mo”.
Amare il nemico si può?
Fermiamoci un attimo a riflettere innanzitutto sul verbo. Amare già non è una cosa semplice, se già prendiamo il verbo amare nella sua vera essenza.
Amare significa mettere l’altro al primo posto, metterlo al centro, farsi da parte, guardarlo, per noi credenti, con gli occhi stessi con cui lo guarda Gesù.
Nella nostra fede si parte sempre da un minimo per arrivare a un massimo. Il minimo sarebbe il rispetto per l’altro, considerarlo una persona umana, che è già tanto. Per esempio, la camorra vuole eliminare l’altro, distruggerlo, togliergli la dignità e la libertà. Dice all’altro: tu per me non vali, non ci sei, qua comando io e, se non è possibile ottenere ciò che voglio con le buone, posso passare anche oltre, quindi le minacce, le intimidazioni, ecco la bomba fuori la chiesa, la scritta sempre fuori la chiesa, anche il comandante della polizia municipale di Arzano, Biagio Chiariello, da qualche giorno sotto scorta, ne ha ricevuta una molto volgare. In questo modo le persone più fragili e deboli si fanno da parte pensando che non conviene rischiare. I camorristi ti saltano addosso, come un avvoltoio si mettono sulle tue spalle e ti mangiano il cervello, l’anima, come una sanguisuga ti succhiano il sangue. Questo discorso vale anche in altri campi.
Il primo gradino dell’amore è riconoscere che l’altro ha la mia stessa dignità, il non fare all’altro quello che non vorresti che l’altro facesse a te.
Quindi, il rispetto dell’altro e delle regole. In questi giorni sto girando per tante scuole: ai ragazzi ho detto che sono stufo di parlare di legalità, io voglio parlare di normalità. Siamo tante persone messe insieme e per poter vivere decentemente ci dobbiamo dare delle regole che vanno poi osservate, punendo chi non le osserva e premiando coloro che le mettono in pratica.
In una società competitiva ed egoista come la nostra è semplice amare l’altro?
Occorre guardare l’altro con simpatia. A un cristiano viene più facile. La nostra fede ci facilita di molto il compito: se io mi sento amato da Dio, se avverto che la mia esistenza è tutto un dono, se mi avverto come un dono dalla punta dei piedi alla cima dei capelli, se so di essere un dono, se so che di mio non c’è niente, perché non ho comprato al mercato la mia intelligenza, la mia altezza, la mia bellezza, la mia salute, avverto che anche l’altro è un dono.
Come io sono prezioso agli occhi di questo Dio che mi ha fatto tutto un dono, anche l’altro è prezioso agli occhi di Dio da cui ha ricevuto questo dono.
Questa dicotomia in duemila anni di cristianesimo è stata anche alla base di tante incomprensioni: io non posso amare Dio che non vedo, se non amo mio fratello che vedo. Certamente, quando mio fratello è una persona simpatica, gradevole, quando appartiene alla mia stessa famiglia, quando osserva le regole, quando è una persona gentile, altruista, mi viene facile amarlo. Quando questo mio fratello ha un colore di pelle diverso dal mio, parla un’altra lingua, è povero e viene magari a chiedermi qualcosa che la mia avarizia non gli vorrebbe dare, posso essere diffidente. E quando è maleducato, non rispetta le regole, insozza le strade, quando inquina la terra, mi viene una grande rabbia. E là interviene la grazia di Dio:
se riesco a vedere di fronte a me non più una persona cattiva, ma una persona più povera di me, che ha compreso di meno, io avverto addirittura che il Signore affida a me questo fratello, alle mie possibilità, alle mie capacità, mi sento responsabile.
La scelta di far portare la croce di Gesù ad una donna ucraina e ad una russa alla Via Crucis al Colosseo ha destato polemiche. Ma chi vede la propria vita messa in pericolo da un altro come può guardarlo con occhi di misericordia?
Pensiamo alla guerra e mettiamoci nei panni delle persone che abitano nelle città bombardate. Che cosa significa vivere in uno scantinato? Che cosa significa per una donna essere stuprata? E magari portare in grembo una vita palpitante che viene da questa persona odiosa, lo stupratore, che non ha avuto rispetto di lei, della sua dignità, della sua libertà? C’è da impazzire.
Ecco, ma si può perdonare chi ha fatto questo?
Guai a noi se dovessimo dire che è facile. Possiamo implorare il perdono vero, possiamo implorare le persone ferite a perdonare, ma nessuno di noi ha il diritto di mettersi nei loro panni e dire che si fa così. Solo la persona ferita ha il diritto di perdonare, ma è il frutto di un lavorio interiore che non dipende dalle nostre forze ma dall’abbandono alla grazia di Dio. Un percorso che non dura un giorno o due, ma che è un cammino di fede. Ma è beata quella persona che sa riconciliarsi.
E allora penso alla guerra e penso a queste donne stuprate cui non possiamo dire niente, ma se potessero accogliere quella vita nascente venuta dal dolore, dall’orrore che hanno subito, pur ricordando che questo è anche figlio dello stupratore, saremmo di fronte al miracolo generato dall’amore e dal perdono, una vetta altissima. Noi possiamo pregare per questo e assistere, essere a fianco. Come d’altronde accade, a livello personale, familiare, di faide tra clan della camorra, di Paesi che si odiano,
solamente la riconciliazione e il perdono danno un futuro.
Perdonare alla fine ci conviene: chi perdona sta schiacciando la testa del serpente maledetto, chi perdona sta mettendo in salvo i suoi figli oltre che i figli del nemico e pone fine al massacro. Pensiamo a questa guerra. Pensiamo alle faide in terra di camorra, ‘ndrangheta, mafia, dove a distanza di anni ci sono vendette sui figli di coloro che avevano assassinato una persona cara, figli che all’epoca non erano ancora nati. Io dico sempre: ma chi ha ucciso questi ragazzi? Certo, l’assassino, ma a ben guardare li avevano già uccisi i loro stessi genitori quando non hanno avuto pietà dell’altro, sapendo bene che l’altro si sarebbe vendicato e non avrebbe avuto pietà. Penso che la pietà sia una virtù di cui si parla poco, la pietà è un seme che dobbiamo piantare, innaffiare, coltivare, spargere a piene mani. Se muore la pietà, si spegne tutta l’umanità.
Quando è iniziata la pandemia si diceva che ne saremmo usciti migliori…
Papa Francesco, il 27 marzo 2020, disse: “Pensavamo di essere sani in un mondo malato”. E ancora: “Come usciremo da questa pandemia?”. Lo stiamo vedendo:
è il cuore dell’uomo capace di amare e di odiare, sono le mani dell’uomo capaci di accarezzare e di strangolare, è il cervello dell’uomo capace di pensare il bene e di pensare il male, è il cuore dell’uomo capace di accogliere e di respingere.
Al centro ci siamo sempre noi: esseri umani creati a immagine e somiglianza di Dio; somigliamo tanto più a Dio quanto più Lo ascoltiamo, mettiamo in pratica i Suoi consigli e i Suoi comandi, ma quanto più ci allontaniamo da Lui dire che l’uomo diventa una bestia vuol dire offendere una bestia, perché le bestie le cose che stiamo vedendo in questi giorni non si sono mai sognate di farle.
L’amore per il nemico è un ulteriore passo avanti rispetto al perdono?
Amare il nemico è eroico, da santi. È difficile, ma con l’aiuto di Dio è possibile.
La santità è proprio questo: aver toccato delle vette difficili da raggiungere, ma possibili, perché il Signore non ci chiede niente di impossibile. Chi lo può fare? Solamente chi si sente amato. Penso al dramma che è successo a Torre del Greco qualche giorno fa dove due “quasi bambini”, 15 e 16 anni, hanno ucciso il diciannovenne Giovanni. Mi chiedevo: i due ragazzini che lo hanno ucciso si sono mai sentiti amati? Qui non si salva nessuno: i genitori di questi ragazzi, la società, il sindaco del Paese, questi nostri comuni sciolti per camorra, le parrocchie, la scuola. Perché questi ragazzini avevano tanto odio nel cuore? Sentirsi amati da Dio vince l’odio. Allora, parliamo ancora una volta di questa scala: il perdono è un gradino, l’amare il nemico significa raggiungere le vette dell’eroismo, i santi, siamo a livello di Santa Madre Teresa di Calcutta, San Giovanni Paolo II o di San Paolo apostolo. Difficile sì, guai a noi dire il contrario, ma possibile, con l’aiuto di Dio.