Sprazzi di luce. Dopo la riforma della giustizia
Non è un demerito della politica (anzi) saper valutare la cogenza e l'urgenza di una decisione.
Non tutto è confuso e contraddittorio nella fase politica che stiamo attraversando. Le convulsioni nei rapporti tra i partiti, all’interno degli stessi e tra di essi e il governo, finiscono spesso per impedire di cogliere i passaggi costruttivi che pure vengono a maturazione nell’attività istituzionale e spiegano in ultima analisi la tenuta del sistema a fronte di emergenze epocali dalle ripercussioni laceranti. Un esempio particolarmente indicativo in questo senso arriva da un comparto che storicamente è tra i più divisivi sul piano politico, al punto di essere diventato oggetto di referendum, quello della giustizia. Con l’approvazione definitiva della riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario, che si aggiunge alle riforme precedentemente varate in materia di processo civile e di processo penale, governo e Parlamento hanno portato a compimento un impegno che non sarebbe un eccesso d’enfasi divenire storico. E forse, tra i motivi che hanno determinato un esito macroscopicamente fallimentare dei recenti referendum, c’è da considerare anche la consapevolezza di una parte dell’opinione pubblica circa il lavoro che le Camere avevano già compiuto o stavano completando su temi coincidenti o contigui.
A testimonianza di quanto le leggi approvate siano cruciali per la vita della nostra Repubblica è doveroso ricordare come nel discorso del giuramento – meno di cinque mesi fa – il neo-rieletto presidente Mattarella si fosse lungamente soffermato sulla necessità di un “profondo processo riformatore” perché “i cittadini devono poter nutrire convintamente fiducia e non diffidenza verso la giustizia e l’Ordine giudiziario”, tanto più dopo la ben nota ondata di scandali. E fa testo anche la riconosciuta centralità di tali riforme nel quadro dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, in quanto presupposti imprescindibili per lo sviluppo economico, la modernizzazione del Paese e la sua stessa credibilità internazionale. L’obiettivo di incassare gli ingenti fondi del Pnrr ha indubbiamente rappresentato una forte spinta all’approvazione delle tre leggi, soprattutto dell’ultima, la più contrastata. Ma non è un demerito della politica (anzi) saper valutare la cogenza e l’urgenza di una decisione. Così come non c’è da scandalizzarsi per il cammino tortuoso e talvolta snervante che è stato percorso nella ricerca del miglior compromesso possibile – onore al merito della ministra Cartabia, al cui nome giustamente le riforme sono associate – perché il dialogo, il negoziato, la trattativa, fanno parte dell’essenza della democrazia. Sanno invece di amaro le reazioni di coloro che invece di puntare lo sguardo sulla corretta e tempestiva attuazione delle leggi – che magari hanno contribuito ad approvare – si sono affrettati a dichiarare che nella prossima legislatura cambieranno tutto, contando ovviamente di avere i numeri per farlo. Non è un buon viatico per quel che accadrà dopo le elezioni politiche del prossimo anno, ma neanche per quel che ci aspetta nei prossimi mesi.