Per i migranti c’è sempre l’emergenza. Qualche considerazione a partire dal Rapporto sui rifugiati del Centro Astalli
La presenza stabile di questo fenomeno richiede di andare verso una progettazione dell’accoglienza e dell’integrazione.
L’emergenza rimane l’unica strategia che continuiamo a adottare per affrontare i flussi migratori. Non riusciamo a impostare un progetto organico, nonostante siano ormai molti anni che il nostro paese sia diventato uno snodo dell’accoglienza per il Mediterraneo.
Il Rapporto annuale del Centro Astalli 2022 che descrive le condizioni dei Rifugiati e richiedenti asilo che hanno raggiunto l’Italia nel 2021 rileva diversi indicatori, e soprattutto evidenzia alcuni dei diversi ostacoli che le persone incontrano una volta arrivate. Un quadro generale mostra che gli arrivi sono quasi raddoppiati: lo scorso anno sono stati poco più di 67 mila. Tra loro, segnala il rapporto, sono presenti 9.478 minori non accompagnati: l’anno precedente se ne erano contati 4687.
Il contesto migratorio è molto più ampio, avvisano i redattori del rapporto, e purtroppo coinvolge milioni di persone che fuggono dai loro Paesi. Ne abbiamo un esempio con le tante persone che arrivano dall’Ucraina. Quella guerra avrà l’effetto di aumentare il numero già ampio. A metà 2021 si contavano circa 84 milioni di rifugiati nel mondo e la previsione per il 2022 alzerà l’asticella a 90 milioni. Finora i Paesi di origine di provenienza sono spesso i soliti: nelle prime cinque posizioni si collocano Siria, Venezuela, Afghanistan, Sud Sudan e Myanmar. Molto probabilmente il prossimo anno si aggiungeranno gli ucraini in questa sfortunata classifica.
La presenza stabile di questo fenomeno richiede di uscire dalla logica emergenziale per andare verso una progettazione dell’accoglienza e dell’integrazione. Il rapporto segnala diversi ostacoli incontrati i richiedenti asilo e i titolari di protezione che impediscono la reale fruizione dei diritti: innanzitutto si evidenzia la difficoltà di avvicinare le istituzioni ad esempio per l’iscrizione anagrafica, burocrazia e digitalizzazione diventano dei muri di gomma da attraversare; un altro impedimento si è rilevata l’attuazione della campagna vaccinale che per coinvolgere i rifugiati ha avuto bisogno dell’intervento del privato sociale; inoltre la mentalità dell’emergenza ha prodotto strutture come i centri di accoglienza straordinaria (Cas), ideati per accogliere grandi numeri, un approccio che trascura logiche di intervento diffuso che invece sarebbero capaci di garantire un maggiore accompagnamento come ad esempio è il sistema dell’accoglienza diffusa (Sai), nel quale piccole strutture riescono a seguire meglio i loro ospiti nei progetti di integrazione. Altro problema – si segnala nel rapporto – è la scarsa presenza di offerta di tirocini formativi e progettualità specifiche, che diventano esperienze episodiche invece che attività programmate. Infine appare in crescita la percentuale di rifugiati vulnerabili (vittime di tortura e violenza) che nel 2021 è arrivata al 37% del totale. I ricercatori avvisano che individuare subito queste vulnerabilità è fondamentale per aiutare le persone a superare i drammi che hanno vissuto.