Pedescala e Santa Giustina in Colle. Le ferite della “fine” e una memoria ancora fragile

Pedescala e Santa Giustina in Colle Negli ultimi giorni del secondo conflitto, i due Comuni furono scenario di eccidi per mano di tedeschi in ritirata, in rappresaglia ad azioni partigiane controverse. Oggi si fatica a trovare riconciliazione

Pedescala e Santa Giustina in Colle. Le ferite della “fine” e una memoria ancora fragile

Il periodo conclusivo della guerra che va dall’aprile ai primi giorni di maggio del 1945, conobbe un’improvvisa recrudescenza di violenza. Almeno diecimila i civili caduti nel corso di eccidi, stragi e rappresaglie operate dai tedeschi in ritirata – in collaborazione con le forze della Rsi – oltre ai partigiani. Le ragioni di tanti tragici eventi sul territorio italiano sono complesse. Quanto accadde in due località come Pedescala (Vicenza) e Santa Giustina in Colle (Padova), è paradigmatico per le polemiche intercorse fino a oggi, destinate forse a sopirsi, ma difficilmente a risolversi. Il ruolo dei partigiani è stato messo sotto accusa per aver condotto attacchi avventati contro colonne troppo potenti per essere sopraffatte e per non aver saputo valutare le conseguenze delle loro azioni. Un richiamo ai fatti.

La strage di Pedescala. A Pedescala, a Settecà e a Forni, paesi della Val d’Astico, l’esercito tedesco in ritirata si fermò due giorni (30 aprile-2 maggio) per incendiare le case e massacrare 82 persone, in prevalenza maschi, tra cui il giovane parroco don Fortunato Carlassare, ma anche alcune donne e bambini in giovanissima età. Il massacro fu compiuto come rappresaglia da un gruppo eterogeneo di reparti nelle località di Pedescala, Forni e Settecà, per due diversi sequestri di militari tedeschi messi in atto da partigiani con l’aiuto dei civili. Era proprio necessario l’attacco dei partigiani? Erano informati dell’accordo siglato il 29 aprile tra il colonnello tedesco Bruno Schram e Nello Boscagli “Alberto”, comandante della divisione Garemi? La reazione tedesca fu radicale e sanguinosa. Fecero scempio sui corpi delle vittime. «Abbiamo rinvenuto i cadaveri in orripilanti posizioni contorte, orribili a vedersi. Abbiamo riscontrato che alcuni cadaveri erano mutilati», così scrive Ernest H. Pett, della Croce rossa americana di Vicenza, sul posto fra il 4 e il 7 maggio. Per quanto riguarda i responsabili, nel maggio del 1989, la Procura militare di Padova, su esposto di Giuseppe Stenghele, è giunta alla conclusione che la responsabilità della strage sia del reparto della Divisione corazzata Ss Hermann Göring. Erano presenti anche alcuni fascisti della 22a Brigata nera (forse uno dei tre fratelli Caneva, Antonio). Su questa strage sono seguite non poche polemiche. L’ultima, profondamente sentita dalla comunità, fino al punto da generare fratture al suo interno, è la polemica esplosa nel 1983 con la consegna al paese della medaglia d’argento al Valor militare, che diede sfogo a una tensione mai del tutto assorbita fra il “Comitato permanente delle vittime civili 30 aprile 1945” e i partigiani. Il Comitato contesta, infatti, la medaglia a partire dalla natura militare del riconoscimento, respingendo totalmente la motivazione della concessione: «Spararono, poi sparirono sui monti, dopo averci aizzato contro la rabbia dei tedeschi, ci lasciarono inermi a subire le conseguenze della loro sconsiderata azione. Per tre giorni non si mossero, guardando le case e le persone bruciare. Con quale coraggio oggi proclamano di aver difeso i nostri cari?». Nel 1985 un nuovo processo portò alla sbarra i partigiani Lino Bettin, Giulio Vescovi, Alfredo Lievore e Livio Greselin, accusati di aver offeso la reputazione del Comitato tramite un volantino diffamatorio, pubblicato sul Giornale di Vicenza. Saranno tutti assolti con la sentenza del 3 dicembre. «A Pedescala fin da subito – spiega il parroco don Sergio Stefani – mamme e nonne sopravvissute non hanno mai insegnato a figli e nipoti a odiare chi li ha privati di godere della presenza dei propri cari rimasti uccisi nell’eccidio. Inoltre la ricorrenza del 30 aprile si vive sempre in modo mesto, e il lutto ritorna di anno in anno. I sopravvissuti e i familiari delle vittime faticano ancor oggi a esprimere i loro sentimenti a riguardo dell’eccidio. I momenti più vissuti il 30 aprile sono la messa in suffragio delle vittime, il ricordo al monumento e la preghiera in cimitero».

Santa Giustina in Colle. Meno discussa è la strage fatta dai tedeschi in ritirata in questo paese. Sui fatti storici i dubbi sono minori. Ciò non impedisce che anche in questo caso alcune questioni siano rimaste irrisolte, fra tutte quella della responsabilità partigiana. Sulla scia dell’entusiasmo i partigiani della zona attaccarono i presidi tedeschi, stanziati nella casa del fascio, nella notte fra il 25 e il 26 aprile e occuparono il paese. Visto il successo tentarono di disarmare il presidio stanziato a Villa Custoza a Fratte ma, data la reazione tedesca, furono costretti a rinunciare e a ripiegare su un altro obiettivo: Camposampiero. Entrarono in paese e lo occuparono. Poco dopo, giunsero da Castelfranco due camion tedeschi che iniziarono a sparare costringendo i partigiani a ripiegare verso Fratte. Venne ucciso un tedesco. All’alba del 27 aprile i partigiani di Santa Giustina, all’oscuro di quanto accaduto fra Camposampiero e Fratte, continuarono le operazioni di disturbo contro le unità in ritirata. Fermarono un reparto tedesco con a bordo anche un’ausiliaria fascista, Ada Giannini (una volta liberata dai tedeschi, sarà lei a indicare le persone da uccidere). Quando arrivò a Santa Giustina un forte contingente di tedeschi, i partigiani opposero scarsa resistenza e furono costretti a ritirarsi. I tedeschi organizzarono la rappresaglia con la liberazione dei commilitoni catturati il giorno precedente. Più di 20 uomini furono prelevati e condotti presso il muro della chiesa (fra loro c’è Valentino Fiscon, figlio di Evanzio, commissario prefettizio). Compiuto il rastrellamento, i tedeschi presero i 20 ostaggi e li allinearono, faccia al muro con le mani sopra la testa. Un unico soldato portò a termine la strage. Gli ultimi a essere uccisi furono due sacerdoti: il parroco don Giuseppe Lago e don Giuseppe Giacomelli. Complessivamente le vittime furono 24. Anche nel caso di questa strage, più di una le polemiche. Alcuni riconducono il tutto alla volontà nazista di punire autori e complici di un’insurrezione partigiana, che pregiudicava la ritirata tedesca verso nord. Il numero delle vittime si ritiene incrementato dallo spirito di vendetta di Ada Giannini. Un altro possibile movente coinvolge Graziano Verzotto, il comandante partigiano che aveva violato gli impegni assunti nel dicembre del 1944 con alcuni capi locali fascisti. Sta di fatto che l’eccidio del 27 aprile favorì nel dopoguerra a Santa Giustina in Colle un diffuso risentimento anti-partigiano e un’immagine deteriore della Resistenza. Il vicepresidente del Consiglio pastorale parrocchiale di S. Giustina in Colle, Giampietro Beghin, che ha seguito i vari anniversari dell’eccidio, osserva: «Fin da piccolo, vedendo la lunga sequela di lapidi vicino alla chiesa, mi chiedevo cosa era successo. Non ho mai trovato qualcuno che mi desse una spiegazione. Su questa strage si è sempre preferito tacere, sorvolare, parlare sottovoce. Nessuno voleva esporsi. A mio avviso, ancora oggi, a 80 anni di distanza non c’è nessuna divisione ideologica sull’eccidio, piuttosto è palpabile la verità di un paese che ha sempre biasimato, sia pure a mezza voce, l’operato fuori luogo, imprudente e avventato, dei partigiani in quel determinato momento. Non sono il solo a sostenere questa tesi. È anche di alcuni storici. Le ricorrenze sull’eccidio sono sempre state un po’ sotto tono. Ancora oggi si fanno iniziative ma sembra prevalente la volontà di non approfondire».

Donne, bambini e anziani trovarono ospitalità altrove

A Pedescala, il 30 aprile 1945, giorno di pioggia e neve, donne, bambini e anziani, dopo essere stati rinchiusi in cimitero, furono lasciati andare per i tortuosi sentieri della Val d’Assa e trovare ospitalità a Rotzo, Roana, Tresché Conca e Asiago.

24 rintocchi di campana, il numero dei morti

Domenica 27 aprile, il Comune di Santa Giustina in Colle celebra l’80° anniversario dell’eccidio con una giornata di commemorazioni civili, religiose e culturali. La cerimonia si apre alle 9.30 con l’alzabandiera e la deposizione della corona al Muro dei Martiri. Segue alle 10 la messa solenne, mentre alle 11 viene proposto il monologo teatrale “Ultimo cielo di aprile. Voci dell’eccidio”con testi di Nicoletta Masetto e Daniela Borgato, voce narrante di Roberta Chinellato e musiche di Alberto Mesirca e Anna Battistel. Alle 11.40 intervengono il sindaco Moreno Giacomazzi e il sindaco del Consiglio comunale dei ragazzi. Dopo un momento conviviale alle 13.30 si ascoltano 24 rintocchi di campana in memoria delle vittime. La giornata si conclude alle 18 con l’ammainabandiera.

Il vescovo Claudio sarà presente alla celebrazione

Quest’anno alla celebrazione dell’eccidio di Pedescala, in programma durante la mattina di mercoledì 30 aprile, sono stati invitati, in segno di riconoscenza, parroci e sindaci dei Comuni che hanno accolto i cittadini di Pedescala. Saranno presenti a Forni e a Pedescala, anche il vescovo di Padova mons. Claudio Cipolla, il vescovo di Vicenza mons. Giuliano Brugnotto, il prefetto di Vicenza Filippo Romano e altre autorità.

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