M come Morte. Come entra la morte nelle nostre case? Come viene attutita la violenza del distacco?
E' fra le mura domestiche che questo tema così grande può essere trattato con la dovuta delicatezza.
Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l’amore,
tenace come gli inferi è la passione:
le sue vampe sono vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!
Cantico dei Cantici 8,6
M come Morte. Abbiamo ancora negli occhi le immagini di quelle decine di bare caricate sui camion militari per varie destinazioni dall’ospedale di Bergamo. Ogni feretro una storia, una vita sigillata in una targa con un nome e nessuno a seguirlo. I parenti di quegli uomini e di quelle donne costretti a stare a distanza, a non poter dare l’ultimo saluto. Quasi più che la morte stessa, è stata straziante e innaturale questa impossibilità di vivere le esequie, celebrare il funerale, dare sepoltura (o cremazione), perché questa è una delle necessità primarie dell’uomo da quando è uomo. Gli animali non hanno riti funebri e quando questi si compiono ha inizio la civiltà. Per questo la ferita delle centinaia e migliaia di vittime del Covid-19 avrà bisogno ancora di lungo tempo per essere rimarginata, perché se l’uomo da sempre si chiede perché deve morire, da sempre ha anche bisogno di accomiatarsi dai suoi defunti con un rito. Sul tessuto di questa esigenza antropologica che ci accomuna tutti, si innesta la novità della Pasqua di Gesù: nulla è più come prima da quando Cristo ha vinto la morte per sempre. La sua resurrezione è la buona notizia, il nostro Vangelo: la morte non ha più l’ultima parola. Non la vita vince la morte, perché tutti dobbiamo morire, ma è l’amore a vincere la morte come già lasciava presagire il Cantico dei Cantici. Anche prima dell’ultimo giorno, alla fine dei tempi, già oggi nella comune esperienza su questa terra, possiamo sentire vivi in noi i nostri cari nella misura in cui lasciamo fluire l’amore che abbiamo ricevuto da loro e che abbiamo provato nei loro confronti. L’amore ha una natura d’immortalità, non si consuma, ma alimenta un fuoco sempre vivo che attraversa il tempo e lo spazio. Ma non è forse indicibile tutto questo, soffocato dal dolore e dal pianto quando perdiamo una persona cara? Come entra la morte nelle nostre case?
Come viene attutita la violenza del distacco? Un tempo si moriva molto più spesso in casa, con tutti i propri cari vicini, magari anche fisicamente intorno al capezzale. Oggi questo è più raro, causa la medicalizzazione molto avanzata, ma forse anche un’aumentata tendenza ad allontanare i momenti finali, quasi non si sapesse cosa dire o cosa fare. Se da un lato questo è comprensibile e la presenza di personale sanitario può essere d’aiuto nel momento fatale, dall’altro il rischio è che il morente possa essere affidato alle mani di “esperti”, invece che rimanere fino all’ultimo con chi ha amato. Una sinergia fra queste due dimensioni è auspicabile e in questa direzione sono concepiti gli hospice, ormai sempre più diffusi. Resta, però, la necessità di vincere il tabù della morte, la necessità di saperne parlare, soprattutto in famiglia. Dove, infatti, se non fra le mura domestiche questo tema così grande può essere trattato con la dovuta delicatezza? Mentre fuori, nel mondo dei media soprattutto, essa è buttata in prima pagina senza alcuna spiegazione o nascosta ed anestetizzata come quasi non esistesse; in famiglia la morte può cercare di trovare la sua giusta dimensione. Protagonisti, ancora una volta, sono i bambini. Sono le persone che più chiedono ragione del perché si debba morire, è nella natura delle cose che la vita debba finire, ma è altrettanto naturale che i piccoli quasi si ribellino e chiedano perché. Più di frequente, quando non avvengono tragiche scomparse premature, ciò avviene per la dipartita di un nonno. È un momento di passaggio che resta impresso nella memoria e che, fatto salvo l’inevitabile dolore, può essere vissuto in modo più o meno sereno.
Il legame, infatti, fra nonni e nipoti è davvero specialissimo, a volte comparabile quanto a tenerezza ed intimità a quello coi genitori. In questi casi accortezza vuole che l’evento non sia oscurato da timorose censure, da “effetti speciali” o magici giochi di parole, quanto piuttosto raccontato con affetto, con il balsamo del ricordo dei giorni felici vissuti insieme, soprattutto trasmettendo la certa speranza che l’anima resta al fianco, a vigilare. È intuizione commovente aver fatto coincidere la ricorrenza della festa dei nonni con la festa degli angeli custodi: di fatto è così, la morte sublima una dimensione di protezione e custodia che l’avo defunto riversa sui suoi cari, soprattutto quelli di più giovane età e più bisognosi di essere accompagnati nei loro passi. Una bambina ha detto una volta al suo papà, guardando il nonno nella camera ardente. “perché al nonno hanno messo il vestito e le scarpe, se sta dormendo?” Una logica ferrea in una mente innocente, un augurio involontario che possiamo fare a tutti i nostri morti: quello di avere le scarpe per camminare al nostro fianco lungo la strada dei giorni, senza più sentire la stanchezza, ma spronandoci con il loro amore ad andare avanti, convergendo tutti verso un’unica meta.