La risposta fragile. Alle molte domande che si levano nel tempo della tragedia
Si attendono risposte che, dopo tanto disorientamento, diano il segnale della direzione da prendere.
Le domande al Governo, alle Regioni alle Istituzioni locali, alla stessa Chiesa lievitano di giorno in giorno richiamando angosce vissute e preoccupazioni che permangono nella Fase2 della lotta al contagio.
Si attendono risposte che, dopo tanto disorientamento, diano il segnale della direzione da prendere per raggiungere la normalità pur sapendo che questa parola si è sgretolata.
Sono domande legittime e responsabili che esigono una grande capacità di discernimento in chi, a diversi livelli, deve stabilire priorità, modalità, tempi.
Dietro a queste domande ce ne sono altre che non è sempre facile cogliere.
Anche attorno alla grande domanda di senso su quanto è accaduto e sta accadendo ci sono domande che vengono dal profondo dell’animo umano, chiamano in causa le cose ultime e, inesorabilmente, portano a interrogare la fede.
Accade che a queste domande si risponda con parole di indiscutibile valore ma non sempre capaci di sanare ferite e lacerazioni, di attenuare o rimuovere perplessità e dubbi
Forse è azzardato scrivere così ma l’impressione è che spesso si abbia uno strano timore nel dare un nome alla fede. E questo nome è Dio.
Certo, in una situazione drammatica dove la ricerca di salvezza e di sicurezza è fortissima, è difficile dire che la risposta è il Dio che si lascia insultare, tradire, percuotere, crocifiggere.
Non si cerca Dio in un letto di terapia intensiva.
In un tempo di disorientamento ci si rivolge a chi offre sicurezze e certezze, non a chi è perdente.
A chi serve un Dio “fragile”?
Per tentare una risposta occorre volgere lo sguardo attorno e, ad esempio, scoprire che Dio è nella dedizione di un medico, di un infermiere, di quanti svolgono lavori umili ma utili, di quanti si fanno compagni di strada nelle solitudini.
Accennando a queste persone papa Francesco alla messa di domenica 3 maggio in Santa Marta ha auspicato: “Che l’esempio di questi pastori preti e pastori medici, ci aiuti a prenderci cura del santo popolo fedele di Dio”.
Parlare di pastori è parlare dell’umanità di Dio e l’umanità è intrisa di fragilità.
Forse bisogna ascoltare il silenzio che prende la parola per dire che, aggredite dal male, le fragilità del bene, del vero del bello resistono e vincono. Lo stesso silenzio è attorno a quei “pastori medici” per i quali nessun malato è un senza nome, come nessuna pecora è sconosciuta al pastore. Nello stesso silenzio, che diventa stupore, si scopre un giorno dopo l’altro che la risposta fragile è in realtà la grande e unica risposta alle domande ultime.