L’importanza di tornare in aula. La scuola è l’ambiente migliore per maturare le consapevolezze nuove
Occorre valutare con attenzione l’impatto del lockdown sulle generazioni più giovani, ai quali da mesi è tolto l’ambiente vitale per eccellenza che è la scuola.
Chissà cosa studieranno sui libri di storia gli studenti del futuro a proposito di questa straordinaria pandemia che ha travolto il mondo. Ipotizzando, naturalmente, che un futuro ci sia.
Ce lo auguriamo, certo, anche se un eccesso di catastrofismo sembra talvolta serpeggiare nell’immensa confusione che circonda l’emergenza sanitaria. Con annunci, articoli, studi, opinioni che dicono tutto e il contrario di tutto, disegnano scenari pieni di speranza e nello stesso tempo colorano subito di nero altre prospettive. Per fortuna le persone si difendono con l’ironia e basta guardare a quanto gira in rete tra vignette, video immagini, battute più o meno “politically correct”, per prendere coscienza una volta di più delle contraddizioni che ci accompagnano.
Purtroppo, però, in realtà c’è poco da ridere. Perché il Covid ha davvero messo in ginocchio il nostro Paese e non solo. La lunga fase di lockdown – che avrebbe evitato scenari catastrofici, a detta degli esperti – si apre adesso ad una attenuazione delle misure, verso una “fase 2” che ancora non è ben definita e che da più parti si vorrebbe ad assetto variabile. In gioco ci sono le questioni sanitarie, certo, ma anche la sopravvivenza economica per intere famiglie, la crisi di tanti settori lavorativi, la povertà che diventa uno spettro ancora più spaventoso della malattia. Al punto che qualcuno si chiede a cosa serve salvarsi dal contagio se tocca poi morire di fame.
Naturalmente le questioni sono complesse e vanno ben oltre le battute. Il problema però va posto, nel senso che una valutazione complessiva, economica e sociale dell’impatto del Covid e delle misure di contenimento, non può non essere approfondita. E insieme occorre valutare con attenzione l’impatto sulle generazioni più giovani, sui bambini e i ragazzi, ai quali da mesi è tolto l’ambiente vitale per eccellenza che è la scuola.
La questione non è (solo) la didattica – sostituita anche bene e con un’accelerazione positiva per il sistema nella direzione del digitale, come forse si sarebbe desiderato ben al di là dell’emergenza – quanto piuttosto la dinamica complessiva delle relazioni scolastiche/educative, del rapporto tra pari e tra più piccoli e adulti. Riguarda la formazione di personalità, la percezione del mondo e del futuro, la possibilità di costruire il tessuto per la società di domani. Proprio quella società di cui oggi tutti riconosciamo l’importanza che “non sia più come prima”, perché una delle lezioni dell’emergenza sanitaria riguarda proprio l’insufficienza del modello fin qui perseguito, piegando piuttosto verso la dimensione della condivisione e della convivialità. Ci siamo resi conto in un attimo che non si può stare bene da soli. Un virus microscopico ha incrinato sicurezze e tutele che il nostro mondo sviluppato credeva inossidabili. Non basterà isolare la Lombardia, o eliminare il virus dall’Europa: la minaccia che si avverte incombente è che “siamo circondati” e il rimedio, le tutele, dovranno riguardare tutti. Già, anche quella parte del mondo che solitamente dimentichiamo o non ci interessa proprio.
E torniamo alla scuola. E’, questa, l’ambiente migliore per maturare le consapevolezze nuove. Per crescere e discutere insieme, per misurarsi in modo costruttivo col domani che arriva. Per questo è importante tornare a scuola. Adesso non si può? Prepariamoci per settembre. Ma riavviare la macchina sia davvero una priorità.