I dati dei bollettini? Solo la punta di un iceberg. L’analisi di due studiosi sui decessi reali in Italia
Una ricerca nazionale sui numeri dei decessi in Italia, nel periodo compreso tra il 21 febbraio, data del primo contagio autoctono a Codogno, e il 4 aprile, disegna una mappa sconfortante degli effetti del Covid-19. I numeri “reali” sono quelli forniti dall’Istat, e quindi indiscutibili ed eloquenti. Lo spiegano al Sir Antonio Sebastiano, direttore scientifico di Senior-net e Osservatorio Rsa, della Liuc Business School e Romano Astolfo di Sinodè, coordinatore di Seniornet.
Quelli dati finora nei bollettini quotidiani sono solo “la punta di un iceberg”. Purtroppo, “nelle province più colpite dal Covid-19, i morti sono stati molti di più”. È l’allarmante quadro che arriva da una ricerca nazionale sui numeri reali dei decessi in Italia, nel periodo compreso tra il 21 febbraio, data del primo contagio autoctono a Codogno, e il 4 aprile. L’affermazione è di Antonio Sebastiano, direttore scientifico di Senior-net e Osservatorio Rsa, della Liuc Business School. I numeri “reali” sono quelli forniti dall’Istat, e quindi indiscutibili ed eloquenti. Basta solo una cifra, per far capire il tipo di eloquenza:
più 440% è, in percentuale, il numero delle persone morte in provincia di Bergamo,
nel confronto tra il periodo 21 febbraio – 4 aprile di quest’anno e la media dei 5 anni precedenti (2015-2019). In cifre, 5.043 contro 934.
I numeri dell’Istat, aggiornati fino a pochi giorni fa, ma purtroppo, anche per questo, ancora parziali (sono relativi al 32% dei Comuni italiani e a una popolazione di 19 milioni) rappresentano il punto di partenza per i ricercatori di Seniornet, network nato nel 2014, su iniziativa di Sinodè, società di ricerca e consulenza organizzativa in ambito socio-sanitario e Liuc Business School Castellanza, che dal 2006 ha costituito all’interno della propria struttura un “Osservatorio settoriale sulle Rsa” della Regione Lombardia.
I ricercatori stanno via via aggiornando un report relativo a tutti i Comuni italiani verificati, man mano che i dati vengono resi noti dall’Istat. Sull’ultimo di questi report, chiuso ieri, il Sir ha intervistato due statistici che ci hanno lavorato: Antonio Sebastiano e Romano Astolfo, di Sinodè, coordinatore di Seniornet.
Ricerca capillare. Sono i due esperti a illustrare le caratteristiche della ricerca. “Il limite dello studio è dato dal fatto che non sono disponibili i dati di tutti i Comuni, ma solo di quelli attualmente in possesso dell’Istat. Ma si tratta di dati aggiornati al 4 aprile, molto recenti, e ufficiali, contrariamente ad altri forniti in queste settimane, che dipendono molto dalla diversità di approccio dei vari territori o da indagini parziali”, spiega Astolfo. Il che significa, in concreto, che
i dati forniti sono relativi al 32% dei Comuni italiani, per una popolazione complessiva di 19 milioni di persone circa.
Una percentuale comunque significativa, che sale al 72% dei Comuni lombardi, mediamente in più colpiti. Prosegue Sebastiano: “Abbiamo di fronte a noi un periodo ormai abbastanza lungo. Si va dal giorno del primo contagio autoctono, il 21 febbraio, fino alla prima settimana di aprile. Inoltre, abbiamo ulteriormente analizzato i dati relativi alla popolazione anziana, con più di 66 anni”.
I dati nazionali. I dati della ricerca confermano il dramma della Lombardia, ma anche di altre regioni soprattutto del nord. A livello nazionale, l’aumento della mortalità nel periodo considerato è dell’85,7%. Nei Comuni considerati, infatti, sono morte dal 21 febbraio al 4 aprile, 46.985 persone, mentre la media dei 5 anni precedenti era di 25.305 persone. Il saldo è, dunque, di 21.680 decessi.
Non si può, naturalmente, affermare che tutte le persone che sono morte in più rispetto agli scorsi anni siano decedute per il Covid-19, ma è lecito presumere che si tratti di una parte preponderante, dato che essi sono concentrati proprio nelle zone con il maggior numero di contagi.
Ebbene, secondo i dati della Protezione civile, i morti con il coronavirus, al 4 aprile, erano 15.362 in tutta Italia. I numeri dell’Istat, invece, attestano che, soltanto in un terzo dei Comuni italiani (anche se nel 72% di quelli lombardi), i morti in più rispetto agli anni precedenti, al 4 aprile, erano 21.680. Insomma lo scostamento già si intuisce e appare ancora più visibile in Lombardia, dove la ricerca “fotografa” al 4 aprile, in 7 Comuni su 10, 13mila morti, contro gli 8.600 dei dati della Protezione civile, in tutta la regione, alla stessa data. La percentuale, poi si dilata se si prende in esame la popolazione con più di 66 anni. In questo caso, su base nazionale, l’aumento è del 90% (20mila decessi in più).
Il dramma della Lombardia. Venendo alle Regioni, come era lecito aspettarsi,
il dato più drammatico è quello della Lombardia, dove si è passati da una media di 8.830 morti degli ultimi 5 anni a 21.829 degli ultimi 35 giorni, con un aumento del 147,2% (12.999 persone), mentre per la popolazione anziana arriva a più 154,8%.
Le altre regioni più colpite sono, nell’ordine, la Valle d’Aosta (più 116,9%), il Trentino Alto Adige (più 89,4%), l’Emilia Romagna (più 80,3%), le Marche (più 79,2%), il Molise (più 68,6%, anche se in assoluto si parla di 24 persone), il Piemonte (62%).
Sulle 10 province con il maggior aumento di morti, 5 sono lombarde.
La tragica classifica vede al primo posto Bergamo (più 440,2%), seguita da Cremona (più 299,1%), Lodi (più 286,6%), quindi Brescia (più 220,5%), Piacenza (più 219,7%), Parma (più 170,3%), Lecco (più 130,7%), Pavia (più 126,2%), Pesaro e Urbino (più 125,7%), Aosta (116,9%).
Fa impressione leggere i dati dei Comuni bergamaschi. Alcuni esempi, tra i Comuni non piccolissimi: Albino, da 19 a 167 decessi; Nembro da 17 a 161, Sotto il Monte, il paese di Papa Giovanni da 4 a 24, Brembate di Sopra, da 13 a 101, Dalmine, da 22 a 144. E l’elenco potrebbe continuare.
Perché i decessi sono più di quelli stimati. Insomma, anche se parziali, i numeri forniti dal report sono significativi. “Ed è chiaro – prosegue Sebastiano – che essi registrano un innalzamento significativo della mortalità, disegnando anche una curva, che nelle regioni più colpite dalla pandemia tocca il punto più alto nella quarta settimana di marzo, per poi scendere significativamente a inizio aprile.
Sia chiaro, lavoriamo con i numeri relativi a tutte le persone decedute. Per il resto, possiamo solo fare delle stime e delle valutazioni”.
Che in questo caso, peraltro, risultano evidenti. “Anzi – aggiunge – per quanto riguarda le zone più colpite dal Covid-19, in particolare la Lombardia, emerge che i morti sono stati molti di più di quelli registrati dai quotidiani resoconti della Protezione civile. Dobbiamo poi tenere conto che probabilmente, tra le persone morte ce ne sono anche alcune che avevano altre patologie, ma non hanno potuto nell’emergenza essere prese in carico in modo ottimale, e che sicuramente in queste settimane sono calati gli incidenti stradali e sul lavoro”. Come, dunque, è potuto accadere che qualcuno abbia potuto minimizzare la letalità del coronavirus? “Il trend è evidente nelle province più colpite, si attenua in altre zone, ma è indubbio che
i dati ufficiali dei morti con Coronavirus sono la punta dell’iceberg.
Molte persone sono, infatti, decedute al domicilio o in unità di offerta territoriali senza ricevere una diagnosi ufficiale”. Aggiunge Astolfo: “Va anche sottolineato che quest’anno l’influenza stagionale è stata meno virulenta”. Da qui la possibilità di “interpretare” i dati in modo diverso, magari prendendoli in esame fin dal 1° gennaio.