Elezioni regionali. Arturo Lorenzoni, la sfida della discontinuità
L'intervista. Lo sfidante a capo della coalizione di centrosinistra che punta su un Veneto capace di guardare al futuro e mettersi in linea con gli obiettivi dell'Agenda 2030. L'equazione immigrazione criminalità non rende merito alla nostra storia: siamo un territorio che si fa carico delle fragilità
Qual è la principale discontinuità che introdurrebbe nel governo del Veneto rispetto alla gestione di questi ultimi dieci anni?
«La proposta che sto portando avanti è in forte discontinuità rispetto all’amministrazione attuale e ai 25 anni passati. I contenuti sono sostanzialmente legati al riallineamento della capacità di disegno normativo della nostra Regione rispetto all'Agenda 2030 dell’Onu con i 17 obiettivi di sostenibilità ambientale, sociale ed economica: un’agenda politica pronta e straordinaria, recepita a livello europeo (il Green deal). Lo Stato italiano ha adeguato i propri obiettivi, ma non lo ha fatto la Regione Veneto che ripetutamente, per esempio, ha rifiutato l’emergenza climatica. L’agenda è una grande opportunità, perché consente di riallineare sviluppo, protezione dell’ambiente e protezione della salute delle persone, oltre che beneficiare delle opportunità di investimento oggi disponibili. Questo processo richiede un forte indirizzo, una forte determinazione dal punto di vista politico: il progetto che stiamo proponendo va in questa direzione».
Sanità: con quasi 10 miliardi è il più consistente capitolo di spesa della Regione. Qual è il principale cambiamento che, se fosse eletto presidente, vorrebbe introdurre? Le lunghe liste d’attesa di fatto portano a rivolgersi al privato. Intende intervenire per modificare l’attuale assetto organizzativo?
«Negli ultimi anni qui si è tenuta una linea molto chiara, con una forte centralizzazione decisionale in Azienda Zero che, anziché essere un’azienda subordinata alle aziende sanitarie locali, è diventata un’azienda sovraordinata: un collo di bottiglia che rende difficili le assunzioni e le scelte operative dei direttori. Questo ha fatto sì che la medicina del territorio non sia mai stata potenziata. Partirei subito accettando il Mes, cioè i fondi messi a disposizioni dall’Europa a un tasso quasi nullo, per chiudere le finanze di progetto sanitarie (Schiavonia, Santorso, Soave, Castelfranco…) che sono costosissime per la sanità veneta. Così si può abbassare l'attuale costo di questi investimenti dall’8-9 per cento a meno dell’1 per cento, liberando decine di milioni di spesa corrente. Con questo denaro andrei a reintrodurre i servizi per i cittadini, ad assumere le persone necessarie per tenere aperti i presidi ospedalieri, riorganizzando la presenza sui territori. Medicina e salute in Veneto sono sì un’eccellenza riconosciuta a livello mondiale, ma anche presenza sul territorio e questa andrebbe potenziata. Tutta la parte della prevenzione oggi è assolutamente bistrattata e dobbiamo tornare a investire».
Migranti stranieri in Veneto: qual è il suo programma politico, se venisse eletto presidente?
«È una domanda importante per differenziare due approcci radicalmente diversi tra chi ragiona in termini di “noi” e chi ragiona in termini di “noi e voi”. Fino a che accettiamo il “voi”, non avremo mai una politica e un’etica accettabili. Identificare queste persone come “altri” è contrario al mio modo di essere. Si è cercato di creare il nemico nel migrante, quando il fenomeno non è così preoccupante dal punto di vista sociale. Va governato e questo non significa un’apertura incondizionata: significa regolare. Se possiamo integrare a piccoli numeri le persone che arrivano, ritengo che la nostra economia non solo sia in grado ma anche abbia bisogno di forze per dare una spinta dal punto di vista lavorativo. Rifiuto l’equazione immigrazione-nemico o immigrazione-criminalità, come ho sentito troppo spesso fare. Questa equazione non rende merito alla nostra storia: siamo un territorio che ha sempre saputo farsi carico delle fragilità delle persone».
Più studi dicono che, a causa del cambiamento climatico, attorno al 2030 l’innalzamento del livello dei mari porterà le acque a invadere le coste e le cittadine balneari venete. Inoltre, i danni dei giorni scorsi inducono a individuare nuove strategie per tutto il territorio. Da Governatore, cosa intende fare?
«Queste sono delle previsioni purtroppo tristemente vere. Le proiezioni che abbiamo fatto 20 anni fa sul 2020 sono state superate e la preoccupazione è reale. La Regione deve procedere con la decarbonizzazione della propria economia, che dà anche delle opportunità di investimento. La prima misura che prenderei da presidente della Regione è la coibentazione degli edifici e poi toglierei dalla strada tutti i mezzi a combustione interna sostituendoli con mezzi elettrici».
Autonomia del Veneto: la sua posizione? Quale il risultato realistico per il quale battersi?
«Un’autonomia reale, non raccontata, è una riforma federalista dello Stato che permetta di allocare diversamente la spesa. Su questo, il governo sta lavorando. Il chiedere a spron battuto 23 materie facendosi forza del referendum del 2017 è poco produttivo. Un esempio: lo stesso giorno del referendum in Veneto in provincia di Belluno c’è stato un referendum per l’autonomia e la specificità della provincia di Belluno, referendum che ovviamente ha ottenuto un grandissimo consenso. Ma la Regione, responsabile di dare l’autonomia in quel caso, nulla ha fatto per avanzare su quel fronte».
Le scuole paritarie sono ancora in estrema sofferenza. Eppure per quelle dell’infanzia passano due bambini veneti su tre, facendo risparmiare il 70-80 per cento del costo alla collettività. È disposto a sostenerle?
«Le scuole dell’infanzia fanno parte del nostro tessuto sociale e sono insostituibili. In molte aree sono l’unica presenza per la formazione della fascia primaria e sono un capitale sociale da sostenere. Conosco molto bene le difficoltà delle scuole paritarie avendo avuto i figli che le hanno frequentate, difficoltà aumentate soprattutto quando la presenza delle suore è venuta a mancare privandole di quel contributo fondamentale gratuito che ha consentito di tenere in piedi questi capisaldi. Ho fatto la proposta, come Regione, di concentrarsi sui nido, sulla fascia 0-3, per renderli gratuiti».
Grandi infrastrutture: ce n’è una, in particolare, che ritiene essenziale e vorrebbe avviare e realizzare?
«Rispetto alla Pedemontana e al Mose a questo punto tornare indietro sarebbe irragionevole. Nella Pedemontana ci sono elementi di criticità e di superficialità nella gestione contrattuale che hanno portato a una spesa molta alta. L’infrastruttura alla quale darei priorità è il Sistema ferroviario metropolitano regionale, cioè la metropolitana di superficie, progetto accantonato perché ritenuto costoso ma che ha una valenza sociale grandissima per un territorio come il Veneto che è una metropoli diffusa, ma a patto che ci si possa muovere con facilità all’interno delle province. Stessa cosa possiamo dire per la banda larga che è una infrastruttura non più procrastinabile».
La montagna veneta si spopola e fatica a crescere dal punto di vista economico e sociale. Qual è la sua “ricetta” per questo territorio?
«La montagna è uno dei territori fragili, come lo è il Delta del Po. Sono aree difficili che sono state lasciate periferia e non devono esserlo. Per la montagna va sostenuta l’attività di impresa da parte dei giovani. Ci sono opportunità economiche se si riesce a fare rete, a portare i servizi in queste aree e a creare quelle infrastrutture che consentono di fare impresa. Poi c’è tutto il tema dell’agricoltura di montagna che mi sta molto a cuore e che deve essere sostenuta anche da un’attività di ricerca collegata con le persone che vivono la montagna».
Denatalità: una misura che prenderebbe, nell’ambito delle competenze regionali, per contrastarla?
«È più lo Stato che dovrebbe intervenire dal punto di vista fiscale. La Regione può intervenire sul tema dei trasporti rendendoli gratuiti. Poi dal punto di vista lavorativo serve dare delle garanzie alle persone di potersi prendere il tempo per godersi i figli, potendo avere dei periodi di aspettativa».
Agricoltura: il Prosecco viene da anni trionfali ma potrebbe scoppiare la bolla. E altri settori sono in sofferenza: frumento, mais, soia... Che fare?
«Il Prosecco ha avuto un trend di crescita impressionante negli ultimi anni. Per tutelare il prezzo e la qualità di questo prodotto bisogna dare un limite quantitativo perché altrimenti la lotta tra Doc e Docg rischia di compromettere la tenuta stessa del marchio a livello internazionale. Dovremmo replicare l’esperienza Prosecco anche su altre produzioni che sono altrettanto straordinarie. Sui seminativi mi ha colpito la concentrazione delle proprietà che c’è nel Polesine, dove si sta andando sempre più verso la cultura estensiva piuttosto che quella di qualità. Credo che vada sostenuta una agricoltura di qualità. La Regione deve lavorare nella tutela delle filiere e quindi non solo del prodotto primario, ma nell’integrazione a valle dei prodotti che la nostra storia ha reso apprezzati».
Le parrocchie sono tra i principali contenitori e “motori” di socialità e di formazione anche ai valori civici. Si impegnerà a sostenerle e a corrispondere delle risorse?
«Non so se dal punto di vista del bilancio sia possibile. Riconosco però che le parrocchie sono il tessuto sociale più forte presente sul territorio e dunque va tutelato in qualche maniera, anche aiutando a ripensarsi la comunità cristiana».
Servizi a cura dei settimanali del Veneto.
Interviste di Alessio Magoga – L’Azione,
Giorgio Malavasi – Gente Veneta,
Lauro Paoletto – Voce dei Berici.
Il ritratto
Chi è Arturo Lorenzoni?
54 anni, laureato in ingegneria elettrotecnica, professore di economia dell’energia all’università di Padova, sposato con Anna da 28 anni, tre figli, nato a Padova e vivo a Padova.
Come vorrebbe la ricordassero i posteri?
«Una persona onesta, per me questa è una cosa importante».