Dono vs donazione. Gesù non ha portato “cose” ma ha donato se stesso

Pavel Florenski direbbe: «Se la vita è un dono ricevuto, nell’esperienza del dono sta la possibilità della pienezza di vita»

Dono vs donazione. Gesù non ha portato “cose” ma ha donato se stesso

Alcuni report sulle donazioni mostrano che gli italiani sono sensibili alla solidarietà. Non solo occasionalmente, nelle emergenze come terremoti, guerre o alluvioni, ma anche con continuità, perché legati a qualche associazione o realtà no profit. Se il “pandoro gate” (la vicenda che ha coinvolto l’influencer Chiara Ferragni e una nota azienda italiana che produce dolci, compresi quelli natalizi, ndr) sembra aver aperto una falla nel mondo della beneficenza, di cui è difficile prevedere le dimensioni e gli strascichi, resta che le donazioni anche per il 2023 hanno confermato il trend positivo dei due anni precedenti. A donare sono stati non solo gli adulti ma anche i millennials, attraverso piattaforme online o consegnando direttamente il proprio contributo a chi è impegnato in un settore d’interesse del donatore e chiede aiuto per proseguire l’attività. Sorge spontanea la domanda: cosa spinge una persona a donare? Possiamo donare agli altri beni di prima necessità, soldi, vestiti o altre cose concrete. Possiamo mettere a disposizione del tempo o la nostra professionalità. L’atto della donazione può essere associato a elementi razionali (la causa, le persone coinvolte, la finalità a breve o lungo termine), ma anche emozionali (fa stare bene, è generosità, è impegno). Ma perché doniamo? Dobbiamo introdurre una distinzione tra donazione e dono. La donazione infatti è un atto che significa molto nella vita, perché ha a che fare con la logica del dono. Stefano Zamagni scrive: la donazione è un oggetto, è quello che nel linguaggio comune si chiama regalo. Se io ti regalo un oggetto, ho fatto una donazione a te. Il dono invece non è un oggetto, ma è prima di tutto una relazione interpersonale. Con il dono un soggetto vuole entrare in relazione con un altro. In questa relazione, poi, ci può essere anche il trasferimento di un oggetto. Ad esempio, se vedo che hai fame, io ti do da mangiare. Ma l’oggetto, il dare da mangiare, viene successivamente al riconoscimento della tua identità. Risulta importante non perdere di vista il nesso tra dono e donazione. Il capitalismo vuole le donazioni, ma non necessariamente il dono. I tempi che viviamo sono dominati dal mercato e dalle sue narrazioni: perfino nel linguaggio quotidiano è difficile sfuggire alle metafore economiche. La crisi che sperimentiamo non sarà la pietra tombale delle donazioni, se la faremo diventare occasione per rimettere in discussione l’efficacia di questa impostazione culturale. Perché, nonostante lo scenario brutale che si profila, molte persone continuano a donare? Perché il dono è più di una raccolta fondi! Pavel Florenskij direbbe: «Se la vita è un dono ricevuto, nell’esperienza del dono sta la possibilità della pienezza di vita». La nostra vita è completa se riconosco l’importanza delle relazioni interpersonali, assume un senso solo se ci si dona e se si dona. Il Dio cristiano non fa donazioni, fa doni. Gesù ha donato se stesso, non è venuto a portarci cose. Nel dono io metto in gioco la mia persona nella relazione con l’altro. Il principio del dono crea coesione sociale, mette le basi per una convivenza basata sul diritto di ciascuno a essere riconosciuto nella sua inalienabile dignità e matura in un clima di fiducia, che va costruita sul campo con pazienza, giorno dopo giorno. Il desiderio di fare del bene va a braccetto con la volontà di generare un cambiamento. Il sì cliccato sulla piattaforma online della tal associazione è finalizzato a migliorare la qualità di vita di una persona, lontana o vicina che sia. Questo cambia la vita anche del donatore, perché lo mantiene umano, lo rende partecipe della missione di chi con passione e competenza è impegnato quotidianamente sul fronte della povertà, dell’emarginazione, della salute, dell’educazione, ecc... Lo fa sentire parte di un processo che genera speranza. Un’ultima sottolineatura riguarda la gratuità. La donazione può essere fatta solo dai ricchi. Il dono è di tutti e si basa sul principio della reciprocità! Non si misura dalla consistenza del donativo; è un atteggiamento e può esprimersi con un sorriso o una parola di conforto. Se noi togliamo alle persone, perché versano in condizioni di povertà, la possibilità di donare, noi togliamo loro la gioia di vivere. Nel vangelo, infatti, sta scritto che c’è più gioia nel dare che nel ricevere. Ma allora se io tolgo al povero la possibilità di donare, significa che gli tolgo la gioia. Nelle esperienze di volontariato è abbastanza comune toccare con mano che è più quello che si riceve che quello che si dona. Si parte mossi dal desiderio di fare del bene e ci si rende conto che il bene ricevuto è molto di più di quello donato. Il problema nasce quando si è così presi da se stessi da non accorgersi degli altri o quando, vedendo che l’altro è nel bisogno, lo si aiuta solo se c’è un ritorno, di qualsiasi tipo esso sia. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date, ha detto Gesù. Ci accorgiamo di essere sempre e solo all’inizio!

mons. Roberto Ravazzolo
Direttore Opera Provvidenza s. Antonio, Sarmeola

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