Covid-19, “con la pandemia la battaglia per l’acqua bene comune è ancora più fondamentale”
Marirosa Iannelli, presidente del Water Grabbing Observatory, racconta come l’emergenza sanitaria abbia spinto il processo di speculazione su un bene limitato come l’acqua, oggi sempre più necessario. Per la prima volta infatti è stata quotata in borsa: "In futuro, solo chi potrà permettersi di pagare potrà avere accesso all’acqua"
“Nel bel mezzo dell’emergenza sanitaria e di quella climatica, in un momento in cui l’acqua è diventata ancora più necessaria e vitale, questo bene comune è stato per la prima volta quotato in borsa. È successo in California con i cosiddetti contratti futures. All’acqua è stata attribuita una quotazione, soggetta a oscillazioni e a possibili speculazioni, proprio come ogni altro bene di mercato: un meccanismo molto pericoloso”. Non ha dubbi Marirosa Iannelli, presidente del Water Grabbing Observatory, l’osservatorio che monitora fenomeni sociali, ambientali ed economici legati ad acqua e clima, in Italia e nel mondo. La questione della mancanza d’accesso all’acqua è strettamente correlata alla pandemia da Covid-19, e subito sembra esserci chi prova a specularci sopra.
“Ci ripetono in continuazione di lavarci le mani, pulire le superfici e sanificare, per evitare la diffusione del virus: ma come fa chi l’acqua non ce l’ha? – continua Iannelli –. Stiamo parlando di una risorsa limitata, ancora di più oggi che l’aumento delle temperature ha portato a un intensificarsi dei fenomeni di siccità. Nel momento in cui l’acqua inizierà a scarseggiare ulteriormente, solo chi potrà permettersi di pagare potrà averne accesso, acuendo così le disparità economiche e sociali e provocando ancora più problemi igienico-sanitari. Il fenomeno della quotazione dell’acqua in borsa è partito dagli Stati Uniti, ma presto si diffonderà, perché i mercati sono mondiali: anche in Italia tra qualche anno potremmo trovarci nella stessa situazione”.
Lo scorso 22 marzo si è celebrata la Giornata mondiale dell’acqua, istituita dal 1992. Ma a che punto siamo, oggi, rispetto alla gestione delle risorse idriche nel mondo? “La nota positiva è che, nel corso degli ultimi 10 anni, sempre più persone hanno avuto accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari, soprattutto nei paesi in via di sviluppo – spiega Iannelli –. Eppure, ancora due miliardi di persone non usufruiscono di servizi igienico-sanitari adeguati: si pensi ad esempio che, nel continente africano, il 40 per cento delle strutture sanitarie non ha accesso diretto all’acqua. In una crisi pandemica, questo problema risulta ancora più urgente: quando parliamo di acqua, infatti, non dobbiamo pensare solo all’uso domestico. Acqua vuol dire anche servizi, e salute”.
C’è anche chi, per l’acqua, rischia e a volte perde la vita. Il 18 marzo in Ecuador è stato ucciso Andrés Durazno, presidente del Sistema di acqua e irrigazione della comunità di Rio Blanco, che lottava contro il progetto minerario della Ecuagoldmining, una società ecuadoregna, ma di proprietà cinese. “Gli attivisti fanno un lavoro fondamentale, perché conoscono bene il contesto locale e sono in grado di portarlo sotto i riflettori a livello mondiale – afferma Iannelli –. A volte il loro operato diventa pericoloso: in particolare in America latina, negli ultimi anni abbiamo assistito a vari omicidi di attivisti per i diritti umani e ambientali. In altri casi, invece, la loro voce riesce ad arrivare all’attenzione della comunità internazionale e a generare un vero cambiamento: un caso emblematico è quello di Muhammad Reza Sahib, che è riuscito a bloccare il tentativo di privatizzazione delle risorse idriche di Giacarta, la capitale dell’Indonesia, a seguito di una totale inefficienza del servizio”.
Anche in Italia, purtroppo, la situazione non sembra essere delle migliori. Dopo il referendum del 2011, dove il 54 per cento degli elettori ha votato contro la privatizzazione del sistema idrico, manca ancora una legge nazionale sull’acqua pubblica. Ogni Comune ha propria una gestione pubblico-privata: “A giugno ricorrerà il decennale del referendum, eppure ancora oggi il servizio dell’acqua è gestito in parte da aziende private, il cui scopo è fare utili – continua Iannelli –. Oltre a non essere rispettato il principio di democrazia, con 27 milioni di italiani che allora hanno votato a favore dell’acqua pubblica, questo meccanismo continua a non considerare l’acqua come bene comune, uno dei diritti umani inalienabili: e sui diritti umani non si lucra”.
A livello europeo, poi, manca un framework legislativo vincolante. Molti comuni, in tutta Europa, sono andati verso la rimunicipalizzazione dell’acqua, con una gestione totalmente pubblica: si tratta di circa 250 realtà, grandi e piccole, sempre più considerate dei modelli esportabili. “Nel nostro paese manca la volontà di incentivare il consumo dell’acqua del rubinetto, perché il settore dell’acqua in bottiglia è ancora molto forte – conclude Iannelli –. Del resto siamo il primo paese in Europa e il terzo al mondo per consumo di acqua in bottiglia. Non dobbiamo sempre pensare che quella del diritto all’acqua sia una battaglia solo politica, da fare ai piani alti: la responsabilità individuale conta, la coscienza critica dei cittadini è fondamentale”.
Alice Facchini