Caritas Padova e rifugiati. "Ampliamo gli orizzonti senza alcuna distinzione"
Nessuna polemica, nessuna accusa di ipocrisia, solo un invito a guardarci dentro, a vedere le motivazioni più profonde che guidano anche le nostre azioni più nobili, perché la solidarietà, per essere ancora più autentica, è chiamata a essere universale.
Il dato è lampante. Con l’invasione russa dell’Ucraina il tema delle migrazioni e dei rifugiati, divenuto “tossico” in Italia negli ultimi anni, è cambiato radicalmente. A fronte di un decennio di forte ostilità verso i migranti, quando si è trattato di accogliere chi fuggiva dall’Ucraina le porte si sono spalancate, ovunque, sia nei Paesi dell’Europa dell’Est, sempre allergici a redistribuzioni e a “quote” di migranti, sia in Italia. Dove prima si ergevano barricate ora fioccano disponibilità, collette alimentari, raccolte fondi. Se da una parte alcuni giustificano questa disparità parlando di “profughi veri” in contrapposizione ai “finti profughi” di Lampedusa o del corridoio balcanico, altri invece fanno notare che i profughi sono sempre profughi, a prescindere dal fatto che si siano lasciati alle spalle le bombe russe, i jihadisti, i predoni, la miseria assoluta o persino quei cambiamenti climatici che con una velocità sempre crescente stanno rendendo deserto ciò che fino a ieri era terra fertile. «La gestione di questa accoglienza – ammette Lorenzo Rampon, direttore di Caritas Padova – segue vie molto simili a quella tradizionale, seppur con il rafforzamento dei processi tramite la Protezione civile e la Questura. Quello che cambia è la grossa disponibilità non solo della politica, ma proprio della popolazione in generale, con una mobilitazione mai vista prima. Persino i sindaci dei Comuni, riuniti negli ambiti sociali territoriali, stanno avviando forme di accoglienza istituzionale, quando prima richieste simili della Prefettura andavano deserte». Una solidarietà positiva, che dimostra come società civile e istituzioni siano in grado – con la giusta motivazione – di risolvere anche grosse emergenze. Ma occorre andare oltre: «Quando un essere umano scappa dovrebbe essere trattato come un essere umano, senza categorie di serie A e di serie B. È vero, l’informazione ci fa capire come in questo conflitto vi sia chiaramente un aggredito e un aggressore, e come dall’Ucraina, per via della mobilitazione, siano potuti fuggire solo bambini, vecchi e donne, ma in tutte le guerre, anche quelle più dimenticate, chi ci rimette sono sempre i più poveri. E i poveri sono tutti uguali». L’ultima dimostrazione, recente, è quella dell’Afghanistan, di nuovo in balìa dei talebani: «C’è chi è arrivato a piedi, anche loro hanno diritto di chiedere asilo. Io spero che questa ondata di solidarietà ci aiuti ad ampliare i nostri orizzonti, avendo dunque “occhi accoglienti” verso chiunque si trovi lontano dalla sua terra». «Anche come Chiesa e comunità cristiane – conclude Rampon – è necessario riflettere sulla nostra disponibilità verso chiunque si trovi nel bisogno, senza preferenze. La parabola del buon Samaritano a questo proposito è illuminante. L’unica preferenza che ci è consentita è verso chi è più fragile e debole».
La scuola, un ponte verso la normalità
Sono 112.098 le persone in fuga dal conflitto in Ucraina giunte fino a oggi (martedì 10 maggio) in Italia. Il dato è stato comunicato dal Viminale che ha precisato: «Rispetto al totale, 58.334 sono donne, 15.256 uomini e 38.508 minori». Milano, Roma, Napoli e Bologna continuano a essere le principali città di destinazione. Dal 24 febbraio, inoltre, le studentesse e gli studenti ucraini accolti negli istituti scolastici italiani sono 22.788, di cui 5.060 nella scuola
dell’infanzia, 10.399 nella primaria, 5.226 nella secondaria di primo grado e 2.103 nella secondaria.