A cosa serve la parrocchia? Se ho un martello...
Riflessioni dopo una serata, durante la Settimana della comunità, in cui si è parlato di parrocchia.
«La mia parrocchia è una parrocchia come tutte le altre. Si rassomigliano tutte. Le parrocchie d’oggi, naturalmente. (…) La mia parrocchia è divorata dalla noia, ecco la parola. Come tante altre parrocchie! La noia le divora sotto i nostri occhi e noi non possiamo farci nulla. Qualche giorno forse saremo vinti dal contagio, scopriremo in noi un simile cancro. Si può vivere molto a lungo con questo in corpo».
Così inizia il Diario di un curato di campagna. Siamo nel 1836 in Francia: parole cha descrivono già duecento anni fa una difficoltà o crisi della parrocchia.
Forse oggi alla parola “noia” potremmo sostituire la poca significatività o il declino o la demotivazione e ci saremmo… Nella Settimana della comunità con una ventina di persone interessate dell’unità pastorale abbiamo fatto una serata per parlare di parrocchia. Sono partito proprio dalla citazione di cui sopra: da una parte è chiaro che oggi le parrocchie non si rassomigliano più tutte… in un “regime di cristianità” erano praticamente tutte uguali; la “struttura e organizzazione” erano il progetto pastorale: chiesa, prete residente, scuola di dottrina, suore in asilo, patronato, campo sportivo, Azione cattolica…
Oggi dovremmo ridirci coscientemente, esplicitamente, cosa c’è di comune tra tutte le parrocchie e cosa va “personalizzato”. È curioso per me vedere la difficoltà iniziale delle persone a rispondere alla domanda: perché esiste la parrocchia?
Qual è il suo fine-obiettivo? Dopo un primo momento di imbarazzo per una domanda così “sfacciata”, le risposte nel nostro incontro sono state:
- celebrare assieme;
- fare comunità e amarci gli uni gli altri, vivere come fratelli;
- portare le anime in Paradiso (!);
- attualizzare e realizzare il vangelo.
Io credo che la parrocchia sia uno strumento e non un fine. Strumento per cosa? Se ho un martello, per quanto splendido, magari anche d’oro… se non so che chiodi attaccare e dove, è inutile! Come anche per avvitare: non si può con il martello! Dunque: a cosa “serve” la parrocchia?
Nell’esortazione Christifideles laici di san Giovanni Paolo II (1988) si dice: «La comunione ecclesiale, pur avendo sempre una dimensione universale, trova la sua espressione più immediata e visibile nella parrocchia: essa è l’ultima localizzazione della Chiesa, è in un certo senso la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie» (n. 26).
Se è vero, dunque, che la Chiesa grande e universale si realizza e rende visibile (pur non esclusivamente, ma sicuramente) nella parrocchia, allora il fine della parrocchia è lo stesso della Chiesa, cioè l’annuncio!
«La Chiesa durante il suo pellegrinaggio sulla terra è per sua natura missionaria» (AG 2). La natura più profonda, il Dna della chiesa-parrocchia è la missione. Se non annunciamo l’amore di Dio non siamo chiesa. Saremo centri etici, che erogano servizi anche religiosi, gruppi di volontariato che fanno del bene, ma non saremo Chiesa. Esistiamo per annunciare l’esperienza di Dio che facciamo. «Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi» (1Gv 1,3)
Più che guardarci l’ombelico ed essere concentrati dentro, dovremmo aprirci fuori sempre più.
Sperimentare l’amore di Dio, certo: potenziare e qualificare i cammini e proposte formativi, direi soprattutto per adulti, ma poi lasciare che l’Amore che ci salva trasparisca dai nostri comportamenti. Un annuncio che «riordini secondo Dio le cose del mondo» (LG 31, Chf L 15 e CCC 898) spinge la parrocchia a essere la fonte a cui abbeverarsi per evangelizzare gli “ambiti di vita”: politica, economia, educazione, trasporti, ecologia, musica, cultura...
Buon “smartellamento” a tutti!