Il re Davide. L’amore di Dio resta per sempre
«Potrei arrivare a perdere la fede, ma rimane vero che Dio mi ama»
E così siamo giunti alla fine del percorso. Vorrei concludere la carrellata di incontri con i nostri amici santi (così li chiama il prefazio del 1° novembre: «Amici e modelli di vita») con il re Davide.
Da un lato questo mi permette di fare un po’ di pubblicità alla Settimana biblica diocesana, che sarà sui due libri di Samuele, nei quali da un certo punto in poi il personaggio principale è proprio lui; ma non voglio dire di più: ai curiosi suggerisco di partecipare alla Settimana dal 26 al 30 agosto: sul sito dell’ufficio catechistico ci sono tutte le istruzioni del caso. Dall’altro lato proprio questo personaggio, che occupa così tante pagine della Bibbia, mi permette di ricordare il punto da cui siamo partiti, che è il più importante: la fonte di ogni santità è Dio.
Davide nella sua vita ne ha fatte di cotte e di crude. Da un punto di vista politico è stato un re grandissimo; dopo la sconfitta e la morte di Saul, si è messo a capo del suo popolo: ha sconfitto i filistei, ha allargato i confini della nazione, ha unito le tribù del Nord e quelle del Sud (mai veramente in pace fra di loro), ha fondato la nuova capitale a Gerusalemme; in poche parole: ha donato un’epoca di stabilità e pace a tutto il suo popolo. Però per farlo ha sguainato spesso la spada, senza troppa pietà; Dio glielo farà notare, quando gli impedirà di costruirgli un tempio a Gerusalemme. Inoltre, non è mai stato del tutto chiaro nei rapporti familiari; alla fine il suo stile di vita gli si ritorcerà contro, prima perché Assalonne cercherà di spodestarlo e poi perché ci saranno litigi per la sua successione. Ha anche peccato gravemente, per esempio quando ha ucciso Uria per portargli via la moglie; o quando ha fatto il censimento del popolo, segno di poca fiducia nell’aiuto di Dio.
Perché allora è così grande? Perché è per noi un modello di vita, un amico da tenere vicino? In un corso di esercizi del 1988, pubblicato con il titolo Davide peccatore e credente, il card. Martini faceva questa riflessione: «Tutta la storia di Davide è sorretta dalla ricerca, dal desiderio ardente di Dio. Uomo debole, peccatore, egli però anela fortemente a Dio e lo vuole più di ogni altra cosa. Ama le persone del suo villaggio, ama gli amici, ama le donne, ama le guerre, ma ama Dio sopra di tutto». Poi continuava invitandoci a leggere la preghiera che Davide fa in 2Samuele 22: «Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore, mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio; mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo, mio nascondiglio che mi salva». Sono parole che cambiano la prospettiva: «Vedo qui il principio e il fondamento più profondo della vita di Davide – è ancora Martini che parla – non è lui che ama Dio e lo desidera, ma è Dio che ama Davide. Il cantico dei Cantici perla di un giovane che è sempre chiamato, in ebraico: “Dod” o “Dodì”, cioè “Amato”, “Mio amato”. Le lettere ebraiche sono le stesse del nome “Davide”, che è allora l’amato, l’amato di Dio, colui che Dio ama».
È questo che ci ricordano i nostri amici santi, così imperfetti per un mondo tanto competitivo com’è quello in cui viviamo: che l’amore di Dio per noi c’è sempre e sempre ci sarà. E che non finirà certo a motivo della nostra imperfezione. È ancora Martini che scrive, e con queste parole finisco la mia riflessione: «Dio mi ha scelto e mi ha amato. Questo è tutto, è la verità fondamentale della mia vita. Potrebbe accadermi qualunque cosa, potrei arrivare a perdere la vocazione, la grazia, addirittura la fede, ma rimane vero che Dio mi ama e che su questo principio e fondamento posso sempre ricostruire tutto».