Sudan, esercito riconquista palazzo presidenziale a Khartoum. Padre Giorgetti (comboniano): “Prematuro parlare di normalizzazione”
La guerra dimenticata del Sudan, iniziata quasi due anni fa tra esercito e Rapid support forces (Rsf), è una delle peggiori crisi umanitarie al mondo, con livelli di violenza indicibile: decine di migliaia di vittime; 12 milioni di sfollati, oltre 24,6 milioni persone in condizioni di grave insicurezza alimentare, ospedali e strutture sanitarie distrutte, scuole chiuse per 17 milioni di bambini. Parla al Sir il comboniano padre Angelo Giorgetti

In Sudan l’esercito governativo e le milizie alleate hanno riconquistato nei giorni scorsi il palazzo presidenziale, la banca centrale ed altri edifici strategici nella capitale Khartoum, che erano stati occupati dalle forze paramilitari Rapid support forces (Rsf). A quasi due anni dall’inizio del conflitto “parlare di una normalizzazione della situazione mi sembra prematuro”. È il parere espresso al Sir da padre Angelo Giorgetti, economo generale dei comboniani, provinciale in Sudan dal 2003 al 2019. La guerra dimenticata del Sudan è considerata una delle peggiori crisi umanitarie del mondo, con livelli di violenza indicibile: decine di migliaia di vittime; migliaia di casi di stupri, compresi bambini; 12 milioni di sfollati, oltre 24,6 milioni persone (più della metà della popolazione) in condizioni di grave insicurezza alimentare, ospedali e strutture sanitarie distrutte, scuole chiuse per 17 milioni di bambini. Anche i comboniani hanno dovuto abbandonare la scuola e le case che gestivano a Khartoum ed El Obeid, nel Kordofan. Sono rimasti solo alcuni confratelli a Port Sudan e a Kosti, sul Nilo bianco verso il Sud Sudan. Il conflitto è iniziato il 15 aprile 2023 a causa del fallimento dei negoziati per integrare le Rsf nell’esercito regolare. Una lotta per il potere tra i governativi guidati dal capo dell’esercito Abdel Fattah al-Burhan e il suo ex vice Mohamed Hamdan Dagalo, che ora capeggia le Rsf, eredi delle famigerate milizie janjaweed note per la ferocia durante la precedente guerra del Darfur. Attualmente il Paese è diviso in due: l’esercito controlla l’est e il nord mentre le Rsf controllano quasi tutta la regione occidentale del Darfur e parti del sud. In questi giorni quasi 15.000 famiglie sono state costrette a lasciare le proprie case nella città di Al-Malha, nel nord del Paese.
Appena riconquistato il palazzo presidenziale di Khartoum le Rsf hanno lanciato droni che hanno ucciso tre giornalisti e diversi militari; quindi, “è difficile capire quanto siano forti”, commenta padre Giorgetti. È un fatto importante perché significa che l’esercito governativo sta avanzando ma bisognerebbe avere altre informazioni. È complicato immaginare se questo possa rappresentare o no una svolta”. Certo, prosegue riflettendo a voce alta, “se l’esercito riesce a recuperare Khartoum molte persone saranno interessate a tornare e a riprendere le varie attività. Una città che non fosse più luogo di combattimento quotidiano aiuterebbe molto”. A Karthoum abitavano 6/7 milioni di abitanti. Almeno 3,5 milioni sono sfollati. “Speriamo che possano tornare alle loro case, anche se saranno mezze distrutte”.
La situazione generale del Sudan è terribile. “Nell’ultimo anno la gente comune non ha avuto la possibilità di sopravvivere tramite il commercio informale o coltivare i campi – racconta -; quindi, dal punto di vista alimentare soffrono la fame. Gli ospedali non sono operativi. Milioni di sfollati vivono in condizioni molto precarie”. Nel Darfur settentrionale è inoltre in corso una delle peggiori carestie. Secondo l’Onu si prevede che entro maggio si estenderà ad altre cinque aree, compresa la capitale. Si prevede che quest’anno più di 770.000 bambini soffriranno di malnutrizione acuta grave.
La guerra del Sudan non interessa e non se ne parla, eppure ha implicazioni importanti. Papa Francesco è l’unico a ricordare sempre il Paese nei suoi interventi, perfino dall’ospedale.
“Il conflitto ha un impatto grave perché destabilizza una zona molto grande che influisce sui movimenti migratori, sul Mar Rosso, sul canale di Suez.
Capisco che è quasi impossibile avere giornalisti in quei posti. Le organizzazioni umanitarie sono veramente poche ed operano in condizioni molto delicate”, osserva il comboniano.
Sono molte le ragioni dietro il conflitto. Nel 2019, quando è stato deposto il dittatore Omar Al Bashir al potere da 30 anni, la popolazione era scesa in piazza ed aveva chiesto di eleggere un governo civile, “ma la decisione è stata sempre posticipata”, ricorda padre Giorgetti. “C’è stata una transizione con un governo composto da militari e Rsf. Ad un certo punto i due gruppi sono entrati in conflitto e questo ha creato tutto ciò che sta succedendo ora. La società civile è rimasta impotente davanti alle armi”. Il movimento civile era riuscito “a fermare le lotte armate tra i vari gruppi tribali e a creare un consenso intorno ad una soluzione. Purtroppo, adesso ogni gruppo sta ripartendo per conto suo, è venuto a mancare un progetto che unificava. Non so come se ne verrà fuori”.
Difficile capire gli interessi internazionali dietro al conflitto. “È evidente che ci sono interessi dall’estero e certamente qualcuno guadagna dal conflitto, perché arrivano tante armi – dice il missionario -. Chi dà le armi ovviamente vorrà qualcosa in cambio. Capire chi sono gli attori che si muovono dietro alle parti sul campo però è molto complicato. Ovviamente i contendenti cercano alleanze internazionali per farsi aiutare. Ma quando ci sono interessi le cose possono cambiare molto rapidamente: bisogna stare attenti agli stereotipi perché le alleanze non sono mai stabili e all’interno degli Stati ci sono molti gruppi di interesse”. L’unica cosa certa, al momento, sono le centinaia di migliaia di persone che rischiano di morire di fame, anche perché l’ingresso degli aiuti umanitari è ostacolato.