Quando la guerra colpisce anche l’agricoltura. Gli effetti dei conflitti in corso pesano sulle popolazioni e sul futuro della produzione alimentare
Che l’agricoltura sia diventata nuovamente un elemento strategico nello scacchiere internazionale è ormai cosa nota
Le guerre appena oltre i confini dell’Europa colpiscono anche l’agricoltura e le minime possibilità di sostentamento delle popolazioni coinvolte. Ed è la storia che si ripete drammaticamente, tanto da far pensare quanto poco l’umanità abbia imparato dalle guerre passate. Tornare anche a questi effetti dei conflitti in corso, è cosa doverosa per capire bene la situazione in cui si trova tanta parte dell’umanità all’inizio del 2025.
Tra analisi di settore e cronache, i dati su cui ragionare non mancano. L’Ispi (l’Istituto per gli studi di politica internazionale) ha recentemente pubblicato una nota in cui viene spiegato chiaramente: “L’invasione russa dell’Ucraina ha causato il più grande aumento dell’insicurezza alimentare globale legata a questioni militari dall’inizio della Seconda Guerra Mondiale”. Un evento che ha portato a due conseguenze tra tante. Da una parte, il rischio di veder aumentare i livelli di malnutrizione in molti Paesi che del grano ucraino erano e sono dipendenti e, dall’altra, la riduzione dei prezzi pagati ai produttori ucraini ancora in attività oltre che l’aumento di quelli pagati dai consumatori un po’ in tutto il mondo. Ancora Ispi ha ricordato che ulteriori elementi di instabilità sono stati introdotti nei commerci alimentari internazionali dalla crisi nel Mar Rosso. Una condizione complessa, che si è aggravata con il conflitto tra Israele e Hamas che sta avvenendo in una delle aree agricole più prospere dell’intera regione. Secondo la Banca Mondiale, nel 2021 la superficie agricola in Israele era pari al 29,74% del territorio, ma oltre il 30% dei terreni agricoli si trova in zona di guerra.
Che l’agricoltura sia diventata nuovamente un elemento strategico nello scacchiere internazionale è ormai cosa nota. Tanto che, per esempio, la Cina da tempo sta ponendo una grande attenzione alla propria sicurezza alimentare, soprattutto tenendo conto che – come ha fatto notare ancora l’Ispi – dagli Usa dipende circa il 30% del fabbisogno cinese di semi oleosi. Ma gli stessi Stati Uniti sono alle prese con un periodo difficile per le produzioni agricole con la perdita di decine di migliaia di aziende agricole e la diminuzione delle esportazioni di grano.
Guerra che impatta pesantemente sulle economie agricole di tutto il mondo, dunque. E sulle condizioni stesse della produzione agricola, tra strutture distrutte e campi costellati di mine. Una condizione, a ben vedere, che si ripete nel tempo. Per capire, basta ricordare che al termine della Seconda Guerra Mondiale, solo in Italia, circa 750mila ettari di terreni agricoli erano campi minati o bombardati e che mancava tutto: dalle macchine ai fertilizzanti, dai fitofarmaci agli animali da allevamento. Allora però ci fu il Piano Marshall, un’operazione imponente oggi probabilmente non più attuabile, anche se gli aiuti alimentari non mancano.
Ed è questo un altro segnale degli effetti delle guerre contemporanee. A Gaza, in questi ultimi giorni si è chiuso il secondo ciclo di donazioni da parte delle aziende agricole del nostro paese. Il programma “Food for Gaza” promosso dal Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, con la collaborazione dell’Onu, della Croce Rossa, della Mezzaluna Rossa e World Food Program, ha raccolto decine e decine di tonnellate di alimenti. Un’operazione alla quale hanno partecipato tra gli altri le organizzazioni agricole come Coldiretti, Confagricoltura e Cia insieme a Filiera Italia. I prodotti sono stati inviati ad Amman, in Giordania, per essere poi distribuiti nella Striscia con il supporto degli operatori umanitari. L’obiettivo? Far fronte alla mancanza di prodotti alimentari e rispondere ai bisogni più immediati della popolazione palestinese, offrendo al contempo anche una disponibilità logistica per la loro raccolta. Ma – viene spiegato in una nota dei coltivatori diretti – l’intento è di dare continuità al sostegno e, quando le condizioni lo renderanno possibile, contribuire alla ricostruzione del settore agroalimentare della Striscia. Già, la ricostruzione in Palestina e Israele così come in Ucraina. Una fase in cui pure l’agricoltura dovrà essere coinvolta. Una fase che dovrà togliere le bombe dai campi per dare nuovamente spazio ai semi e agli alberi da frutto.