Migranti: sono 178 quelli trattenuti nei Cpr, ma i rimpatri sono fermi a causa del Covid-19
Il Garante: “Continua a essere dubbiosa la complessiva legittimità di una privazione della libertà finalizzata a un obiettivo che non può essere realizzato, quantomeno in tempi brevi”. Pandemia, situazione tranquilla nei centri
Con la chiusura lunedì scorso del Centro di Potenza-Palazzo San Gervasio, per lavori di ristrutturazione, le presenze complessive di persone straniere trattenute a fini di rimpatrio nei Cpr italiani sono ulteriormente scese, arrivando a quota 178, a fronte delle 195 persone presenti il 22 maggio scorso e delle 425 presenti il 12 marzo. I Cpr attualmente operativi sul territorio nazionale sono, quindi, sei (Bari, Brindisi-Restinco, Roma-Ponte Galeria, Torino, Gradisca d’Isonzo e Macomer) con 525 posti disponibili di cui solo il 30% attualmente occupato. Oltre che a Palazzo San Gervasio, dai primi di maggio sono in corso lavori di ristrutturazione anche nel Cpr di Caltanissetta. Sono i dati del Garante nazionale dei detenuti e delle persone private della libertà personale, Mauro Palma.
Fin dall’inizio dell’emergenza pandemica, il Garante nazionale ha avviato la somministrazione di questionari indirizzati ai direttori degli enti gestori dei Centri per rilevare le condizioni generali e le criticità, in particolare relativamente alle misure di prevenzione e contrasto della diffusione del contagio da Covid-19. Nel Bollettino del 21 aprile scorso è stata data notizia dei principali esiti dell’indagine effettuata. Nel corso della prima settimana di maggio il Garante ha ripetuto la somministrazione dei questionari per un avere un aggiornamento della situazione.
“Per quanto concerne i locali di quarantena e gli ambienti per l’isolamento sanitario – evidenzia il Garante -, si conferma che questi sono stati allestiti nella maggior parte dei Centri, ma non in tutti, e che vi sono persone in quarantena solo a Gradisca e a Roma, ma nessuna in isolamento. L’attenzione alla prevenzione tramite attività di sanificazione straordinaria e igienizzazione, la fornitura di dispositivi di protezione, il rafforzamento dei kit per l’igiene personale, la rilevazione della temperatura corporea, l’effettuazione di tamponi e la distribuzione di materiale informativo multilingue, sembra ormai essere entrata in maniera permanente nel modus operandi della maggior parte dei Centri; tale circostanza trova conferma nella bassissima diffusione del virus nei Centri stessi dall’inizio dell’emergenza sanitaria”.
Continua il Garante: “Come già rilevato, alla rarefazione, se non proprio interruzione, dei contatti con l’esterno, alcuni Centri hanno cercato di ovviare, o quanto meno di compensare, attraverso l’utilizzo di sistemi di videochiamata, ma la comunicazione con l’esterno, in particolar modo in questo periodo, continua a rappresentare un nodo problematico della regolamentazione dei Cpr”. L’auspicio da parte del Garante è che l’esperienza della videochiamata (con tutte le persone con cui è teoricamente possibile il colloquio diretto) “possa non solo estendersi oltre il limite temporale dell’emergenza pandemica, ma anche allargarsi ai Centri che non l’hanno sinora sperimentata. Decisive in tal senso saranno le previsioni che in materia detterà il nuovo Regolamento unico per i Cpr, attualmente in fase di stesura presso il Ministero dell’interno”.
Va infine rilevato che dai questionari somministrati emerge che, soprattutto nel mese di maggio, “l’atmosfera generale dei Centri è stata caratterizzata da una relativa tranquillità per la quasi totale assenza di episodi di protesta e di tensioni varie; ciò probabilmente è in parte dovuto alla riduzione dell’affollamento, anche in quei Cpr, come Gradisca e Macomer, che fino a poco tempo fa avevano continuato a lavorare quasi al massimo della capienza regolamentare”.
I rimpatri. Come più volte dichiarato dal Garante, tutta la tematica dei rimpatri ha assunto un particolare profilo nel momento in cui sono state bloccate le frontiere e quindi la possibilità concreta di realizzarli. “Continua a essere dubbiosa la complessiva legittimità di una privazione della libertà finalizzata a un obiettivo che non può essere realizzato, quantomeno in tempi brevi – afferma Palma -. In questo contesto, il Garante ha preso atto della posizione del network sulle migrazioni della Nazioni Unite di cui fanno parte, tra gli altri, l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), l’Alto Commissariato delle Onu per i Rifugiati (Unhcr) e l’Organizzazione mondiale della sanità (Who), con la quale viene chiesta la sospensione delle attività di rimpatrio a livello mondiale in tempi di Covid-19 (https://migrationnetwork.un.org/ ), una posizione che costituisce sicuramente una base di riflessione non solo per le autorità interessate, ma anche per gli organi di garanzia”.
Nel documento si legge che le Nazioni Unite sono preoccupate per il fatto che, sulla base di alcuni rapporti inviati dagli Stati, i rimpatri forzati siano utilizzati come una misura per rispondere all’emergenza Coronavirus. A questo proposito, l’Onu chiede agli Stati la sospensione dei rimpatri forzati al fine di proteggere la salute dei migranti e delle comunità, con l’obiettivo di sostenere i diritti umani di tutte le persone migranti. Nella dichiarazione si legge inoltre che i rimpatri forzati possono amplificare i rischi per la salute pubblica, compresa quella dei pubblici ufficiali a ciò incaricati, dei medici, dei lavoratori del sociale, ma anche la salute delle comunità d’origine che, in molti casi, risultano già sottoposte a un notevole aggravio di lavoro per l’insorgere interno della pandemia.
“Certamente, questa non è stata la posizione assunta dal nostro Paese – ricorda il Garante -. Un insieme di fattori, ma anche un insieme di scelte, hanno determinato la non adozione da parte dell’Italia di una strategia di rimpatri come risposta all’emergenza Covid-19. La riduzione dei numeri nei Cpr non è quindi riconducibile al quadro di analisi stigmatizzato dalle Nazioni Unite. Ciò nonostante, il documento del network invita a riflettere sulla questione dei Centri per i rimpatri in quanto tali. Questo implica che non può essere all’ordine del giorno una sorta di ritorno alla modalità precedente all’emergenza, sia perché – in un’ottica non egoisticamente nazionale – questa costituirebbe un ampliamento del rischio di diffusione del contagio, sia perché la sperimentazione della difficoltà ha un valore di innalzamento culturale solo se gli interrogativi che pone non trovano risposte vecchie”.
I numeri. Alla data odierna, le presenze complessive nei tre hotspot attualmente attivi, riconvertiti a luoghi di quarantena per cittadini migranti sbarcati sulle coste italiane, sono pari a 218 persone: 111 a Lampedusa, 56 a Messina e 51 a Taranto.
Le persone in stato di quarantena a bordo della nave “Moby Zazà”, a più riprese sbarcate a Lampedusa nei giorni scorsi e su cui il Garante si è già espresso, sono 232 (solo nella giornata di mercoledì 27 maggio sono state 71 le persone straniere approdate sull’isola e successivamente trasferite). Il Garante nazionale ha acquisito dal Ministero dell’interno alcune informazioni circa la permanenza a bordo delle persone migranti, anche in relazione al tragico decesso di un cittadino tunisino caduto dalla nave in circostanze in corso di accertamento da parte della Magistratura. “Sulla nave della compagnia marittima Moby, il cui utilizzo è disciplinato dal decreto del Capo della Protezione civile del 12 aprile scorso, la gestione e la cura degli ospiti durante la loro quarantena sono affidate alla Croce Rossa Italiana (Cri), coadiuvata dall’Ufficio di sanità marittima e di frontiera – ricorda il Garante -. Alla Cri sono delegate le funzioni di assistenza sanitaria, assistenza alla persona, gestione amministrativa, distribuzioni di beni; le informazioni vengono veicolate in undici lingue. Il personale della Cri in servizio è composto da 23 membri, tra i quali, medici, infermieri, mediatori culturali, psicologi e personale formato nella gestione delle emergenze. Le persone migranti accolte a bordo sono alloggiate in cabine singole, fatta eccezione per i nuclei familiari”.
Secondo quanto comunicato dal Ministero, una parte della loro giornata a bordo è dedicata ad “attività di tipo trasversale” svolte in un punto della nave definito come safe place (un ponte), a cui le persone migranti accedono a gruppi e in orari prestabiliti per evitare assembramenti. “Tali attività sono incentrate su informative, focus group, momenti di preghiera, connessione wi-fi e ricarica dei cellulari; le informative, in particolare, sono focalizzate sul diritto alla salute, sulla protezione internazionale, la prevenzione della tratta e la tutela dei minori. La ‘Moby Zazà’, per ragioni di sicurezza, è presidiata da un dispositivo di vigilanza operativo quando la nave si trova nelle acque territoriali della costiera agrigentina. La nave, infatti, non rimane ancorata di fronte a Porto Empedocle in maniera stabile, ma alla bisogna muove verso Lampedusa per recuperare persone da eventuali sbarchi”.
Su tale funzione operata con persone migranti già a bordo in quanto provenienti da precedenti sbarchi, il Garante esprime perplessità, “considerando che si tratta di persone già sottoposte a percorsi migratori in tutto o in parte via mare, nella quasi totalità dei casi in condizioni di pericolo e di disagio. Tutti i punti che connotano questa particolare modalità di quarantena saranno comunque oggetto di discussione con le autorità responsabili”.
Per quanto concerne le frontiere terrestri, a seguito del parziale allentamento dell’emergenza Covid-19, la cosiddetta “rotta balcanica” è tornata nuovamente attiva. Il Garante ha chiesto e acquisito dal Ministero dell’interno informazioni circa l’arrivo di persone migranti attraverso il confine esterno della regione Friuli-Venezia Giulia. Allo stato attuale ci sono 340 cittadini stranieri ospitati in isolamento fiduciario in provincia di Trieste in strutture private, affidate alla gestione della Caritas cittadina.