Campanelli d’allarme
I fattori internazionali stanno complicando e complicheranno sempre più le prospettive dell’economia italiana
Pensare di poter rappresentare la situazione economica di un Paese esclusivamente sulla base delle statistiche economiche è una pretesa che si è rivelata il più delle volte fallace. Ma quando tutti gli indicatori tendono a convergere in una direzione bisogna drizzare le antenne per cogliere il senso della dinamica in atto. E’ un dovere soprattutto per la politica, per chi è chiamato a compiere le scelte che incidono sulla vita della collettività. I più recenti dati dell’Istituto nazionale di statistica, a cominciare da quelli riassunti nella Nota bimestrale sull’andamento dell’economia italiana, diffusa nei giorni scorsi, descrivono un quadro preoccupante. La produzione industriale continua a perdere colpi, a settembre non solo non è cresciuta – com’era accaduto ad agosto – ma ha segnato un calo del 4% rispetto a un anno fa. In calo pure le esportazioni, diminuite dello 0,6% nei primi otto mesi di quest’anno. Dopo tre mesi di crescita ininterrotta e una lunga fase di risultati positivi, la tendenza negativa ha investito anche l’occupazione. E qui il dato che colpisce di più è che in un anno (settembre 2023-settembre 2024) gli inattivi sono cresciuti più degli occupati, 337 mila contro 301 mila. Gli inattivi, nella classificazione Istat, sono coloro che non hanno un lavoro ma non lo stanno neanche cercando (altrimenti sarebbero registrati come disoccupati). E’ una condizione che comprende una quota rilevante di scoraggiati. Del resto, l’Istat ha rilevato un peggioramento del clima di fiducia delle famiglie, “con un deterioramento delle opinioni sulla situazione economica generale e su quella futura”, ed è in discesa anche la fiducia delle imprese.
Nel terzo trimestre, il livello del Pil, che misura la crescita complessiva dell’economia, è rimasto fermo rispetto ai tre mesi precedenti, “registrando – sottolinea l’Istituto di statistica – un risultato peggiore rispetto ai principali partner europei e alla media dell’area euro”. Se si pensa che due mesi fa, parlando all’assemblea della Confindustria, la premier Meloni aveva rilevato con soddisfazione che nel 2023 l’Italia era cresciuta più del doppio della media Ue e dell’Eurozona, ci troviamo di fronte a qualcosa di più di un campanello d’allarme. Tanto più che i fattori internazionali stanno complicando e complicheranno sempre più le prospettive dell’economia italiana.
Le ripercussioni della crisi della Germania, a cui l’Italia è legata a doppio filo sul piano produttivo e commerciale, già si sono fatte sentire: il brusco calo della produzione industriale è palesemente connesso con l’andamento dell’economia tedesca, che è il principale mercato del nostro settore manifatturiero. Adesso poi aleggia su tutto lo spettro delle scelte di Donald Trump, quelle prevedibili (i dazi, in primo luogo) e quelle temibilmente imprevedibili. Con l’Europa, il nostro Paese è tra i soggetti più esposti e rischia di essere uno di quelli più danneggiati. Per questo sarebbe necessario e urgente abbandonare il tifo ideologico e cominciare ad attrezzarsi con realismo e concretezza alla stagione che si apre. Il tentativo di accreditarsi come supporters privilegiati dei vincitori è patetico e autolesionistico: i leader sovranisti sono in grado di stipulare alleanze tattiche, ma per definizione ciascuno pensa a sé e ai propri interessi ed è destinato a entrare in competizione con gli altri.