Carissima evasione…
Il 45% dei potenziali contribuenti non ha o dichiara di non avere redditi e il 15% dei contribuenti effettivi paga il 63% delle imposte complessive
Si fa veramente fatica a parlare di equità fiscale in un Paese in cui l’economia “non osservata” supera annualmente i 200 miliardi di euro, secondo le più recenti stime dell’Istat. La gran parte (182 miliardi) di questa cifra abnorme è dovuta al “sommerso” propriamente detto (sottodichiarazioni o irregolarità soprattutto in campo lavorativo) e solo per una minima quota ad attività intrinsecamente illegali. E’ lo stesso Paese in cui – a quanto segnala il rapporto dell’autorevole centro-studi Itinerari previdenziali, presentato nei giorni scorsi alla Camera – il 45% dei potenziali contribuenti non ha o dichiara di non avere redditi e il 15% dei contribuenti effettivi paga il 63% delle imposte complessive. Del resto, nella relazione sul Rendiconto dello Stato, a giugno, la Corte dei conti ha reso noto che i controlli del fisco sui lavoratori autonomi sono inferiori al 5% del totale. In particolare le verifiche hanno riguardato l’1,6% dei commercianti, l’1,8% delle agenzie immobiliari, il 2,7% degli idraulici. Non si tratta di criminalizzare a priori intere categorie, ovviamente, ma di sottolineare come i comparti oggettivamente più a rischio (in quanto il prelievo fiscale non è operato alla fonte) siano controllati in misura marginale. Forse anche per questo il “concordato preventivo biennale” non ha riscosso le adesioni in cui il governo sperava per raccogliere risorse da destinare soprattutto all’abbattimento delle aliquote.
In origine, quella che è stata definita una sorta scommessa con il fisco prevedeva essenzialmente uno scambio così congegnato: l’Agenzia delle entrate, sulla base delle proprie stime, propone al contribuente l’importo delle tasse da pagare per i due anni successivi; se questi accetta, può beneficiare di aliquote vantaggiose sui maggiori redditi dichiarati e allo stesso tempo di minori controlli. Controlli che però, come abbiamo visto, sono un’arma sostanzialmente spuntata. Ma il quadro è cambiato strada facendo. Per incentivare le adesioni è stato aggiunto il “ravvedimento speciale”: in pratica è possibile sanare le irregolarità degli anni 2018-2022 versando un’aliquota sostitutiva ridotta. Se il “concordato” presentava molti margini di ambiguità, il “ravvedimento” per le partite Iva non forfettarie è un vero e proprio condono. Ed è un condono particolarmente conveniente. Secondo uno studio dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università cattolica, esso si colloca ai livelli di quelli varati dai governi Berlusconi, mentre “i condoni del periodo 2014-2023 sono stati molto meno generosi”. Per di più il meccanismo adottato provoca un effetto paradossale che l’Osservatorio della Cattolica spiega così: “Nonostante la base imponibile e l’aliquota applicata siano maggiori per i presunti grandi evasori, cioè i contribuenti con un ‘voto’ più basso nella pagella fiscale, chi paga percentualmente di meno è chi aveva dichiarato di meno rispetto al reddito effettivo”. I correttivi previsti, infatti, non bastano compensare il fatto che “la somma dovuta è proprio una percentuale di quanto dichiarato”.
Peraltro sulle emittenti radio-televisive sta andando in onda uno spot del ministero dell’Economia – quello con l’evasore “beccato” – da cui emerge finalmente una narrazione diversa rispetto a certi discorsi che circolano nell’area politica di governo (e non solo) sui doveri fiscali. Ma per ottenere risultati rilevanti è necessario mandare segnali univoci e non contraddittori. Punire gli evasori va benissimo, ma forse prima o poi bisognerebbe anche incentivare chi le tasse le paga fino in fondo.