Tra paura e speranza. Cos’hanno “raccolto”, le nostre parrocchie, da questo anno particolare?
A un anno dall'inizio della pandemia le parrocchie che cosa hanno raccolto? Cosa hanno imparato? Come hanno vissuto il lockdown, la riapertura, le restrizioni? Sofferenze e disagi hanno accomunato tutta la Diocesi. Ma si percepisce anche chiara la voglia di ripartire, puntando all'essenziale, mettendoci il cuore e la passione.
«Non so cosa abbiamo imparato in questo anno così particolare segnato da diverse difficoltà. Ci siamo posti questa domanda tante volte, fra sacerdoti, con gli operatori pastorali. Che cosa ci ha lasciato questa pandemia? Cosa abbiamo vissuto e imparato da questa esperienza?». Don Roberto Bicciato, arciprete di Montegrotto e parroco di Turri e Mezzavia, non nasconde una iniziale titubanza nel rispondere a una domanda che è rimbalzata più volte nei gruppi, nelle case, fra i fedeli, nelle comunità parrocchiali: come abbiamo vissuto questo anno particolare? «Ognuno lo ha vissuto a suo modo – continua don Bicciato – un annus horribilis, per certi versi, impegnativo. Qui a Montegrotto viviamo una situazione privilegiata perché siamo in cinque in canonica, tre sacerdoti stabili, uno che doveva partire per la missione, bloccato poi dalla pandemia, e un chierico. Questo ci ha aiutato molto, ci siamo supportati e sforzati di vedere la situazione con uno sguardo di speranza. Abbiamo voluto trovare il bene, dovevamo trovare un orizzonte». Cogliere segni di bene e di novità che poi si potevano sviluppare nei diversi gruppi, nelle attività, più che mostrare volti di sfiducia.
«Con grande senso di speranza e provvisorietà abbiamo detto “ripartiamo” – afferma don Romeo Presa, parroco moderatore dell’unità pastorale di Piovene – L’obiettivo era comunque dare un messaggio di speranza, senza rischiare. Così le attività sono ripartite: abbiamo celebrato i sacramenti dell’iniziazione cristiana ed è stata una gioia non tanto esteriore, ma percepita come momento guadagnato col nostro coraggio». Trasmettere serenità alla comunità che, naturalmente, è stata presa alla sprovvista e si è ritrovata a vivere un periodo un po’ sospeso, in cui non si conosceva il capo né la coda, tutto era bloccato. Ogni incontro, attività, le celebrazioni.
«Paura. Il cambiamento ha portato paura – sottolinea Mauro Gottardo, vicepresidente del consiglio pastorale parrocchiale di Montegrotto – che si è riscontrata poi a livello partecipativo. Il trend, che già aveva preso piede da tempo, si è manifestato in modo più evidente: molti non sono più tornati alla messa della domenica. Come consiglio pastorale, però, abbiamo percepito chiaro il desiderio di ripartire, guardando non alla quantità, ma alla qualità, non tanto all’essere solo buoni cristiani, perché ci siamo resi conto che siamo tutti un po’ “scalcagnati”. Bisogna puntare sulle relazioni, in primis quelle all’interno del cpp. Essere propositivi e partecipi altrimenti non si va molto lontano. Metterci in ascolto di cosa chiede la comunità e la realtà di oggi, al di là del Covid».
Il calo della partecipazione è forse uno dei fattori negativi a cui le parrocchie devono far fronte: «La partecipazione di bambini e anziani è quasi assente – racconta Fausto Favero, vicepresidente del cpp di Campoverardo – Ora stiamo cercando metodi e approcci per creare comunità anche al di fuori della messa, per recuperare questo valore. Abbiamo imparato che bisogna saper convivere con la disavventura, perché la vita non è piatta e le avversità ci impongono di reinventarsi». «Lo stop delle celebrazioni – continua Gianpietro Zabeo, vicepresidente di Camponogara – ha interrotto una cosa “ovvia”. Ma ci siamo anche resi conto che la reazione è stata poi una partecipazione più accorata, col cuore».
Lo stop alle celebrazioni e agli incontri dei gruppi, ai grest e campiscuola, e la difficoltà a fare visita agli ammalati e agli anziani, per le comunità parrocchiali, per i preti, per gli operatori pastorali, sono stati momenti molto dolorosi. «Vedere le strutture chiuse – spiega don Alberto Peron, da poco parroco di Camponogara e Campoverardo – osservare due grandi comunità ferme, è stato molto faticoso. Ma ho colto anche tanta buona volontà, tanta empatia. Abbiamo ricominciato, riprendendo in mano i rapporti fra le persone, che siano di vera comunione per dare un senso a quello che già si faceva, per metterci passione e cuore. Facciamo davvero in modo che ogni perdita sia un guadagno, che ogni crisi sia ricchezza».
La visita del vescovo ci ha aiutato
«Un momento significativo per noi – racconta don Romeo Presa, parroco dell’unità pastorale di Piovene – è stata la visita del vescovo Claudio in gennaio. Pensavamo fosse opportuno rimandarla, invece ci ha dato senso di fiducia e serenità. Ci ha dato entusiasmo e voglia di ricominciare che ci aiuteranno ad aprire orizzonti diversi. Il filo conduttore non si è perso del tutto, dobbiamo solo riprenderlo».
«La visita del vescovo – ribadisce Anna Rudella, vicepresidente del consiglio pastorale – ci ha aperto gli occhi e stimolati. Ci siamo accorti di dover investire sugli adulti, per far gustare il valore della comunità. Non tutto è da buttare: con la chiusura ci siamo dovuti reinventare, ma abbiamo lavorato con gioia e creatività. Ora dobbiamo migliorarci nell’avvicinare le persone, in particolare la fragilità, lasciarsi coinvolgere».
La cura
A Montegrotto un momento significativo è stato vissuto a settembre con “Non è la sagra”: «È stata organizzata – spiega Mauro Gottardo, vice presidente del cpp – per darsi speranza e vedersi in faccia. C’è stata una risposta inaspettata, c’era sete di riscoprire le relazioni, bisogno di ritornare all’essenziale. È stato uno sprone per tutti: capisci che ti prendi cura della tua famiglia, cioè della comunità».
Bello ritrovarsi a messa alla domenica
«In questo tempo ci siamo riscoperti comunità “di incontro” – sottolinea don Roberto Bicciato di Montegrotto – che ritrova la bellezza dell’incontro domenicale. E abbiamo sperimentato la fragilità dell’essere soli».