«La Chiesa o è ecumenica o non è»
Chiese unite davanti alle sfide della modernità. Le parole di mons. Giovanni Brusegan, protagonista da parte cattolica del dialogo con le altre Chiese che sono a Padova.
«Noi tendiamo a credere che la Chiesa cattolica esaurisca totalmente l’esperienza cristiana. Invece la realtà che abbiamo di fronte ai nostri occhi ci mostra più chiese in dialogo. Allora la Chiesa cattolica o è ecumenica o non è. L’ecumenismo non è una strategia di Chiesa o una sua velleità: è un suo elemento costitutivo, di cui non può fare a meno». Le parole di mons. Giovanni Brusegan sono limpide come l’acqua di un ruscello di montagna. Sui ciotoli, nel fondale, si leggono tutte le ragioni teologiche che in questi anni hanno nutrito l’amicizia tra le Chiese cristiane di cui lui, da delegato per l’ecumenismo di più vescovi, è stato primo fautore. E sul Consiglio chiosa: «Le Chiese hanno desiderato questo organismo come frutto cogente di una lunga semina. Si tratta di un fatto giuridico importante per la società che contestualmente impegna ciascuna Chiesa in una dinamica che affonda le proprie radici in una dinamica empatica e comunionale che ora diviene anche istituzionale».
Lo sguardo di don Giovanni parte da un passato e da un presente ricchissimi. E parte dai «segni di credibilità e amore concreto» espresso nel tempo dalla nostra Diocesi. «Padova ha accolto i fratelli ortodossi con convinzione – racconta – anzitutto i greci e poi i rumeni: a Padova hanno studiato monaci e parroci, oltre all’attuale vescovo di Deva, in Romania. Si sono stabilite relazioni forti con patriarchi, che il vescovo Mattiazzo ha spesso visitato, vivendo anche alcuni momenti liturgici. Anche nei confronti dei greci ci sono sempre state relazioni rispettose e signorili, senza gelosie o proselitismi».
E la vicinanza con i fratelli protestanti non è meno fruttuosa. «Basti pensare al gruppo biblico interconfessionale che da 40 anni condivide la lettura delle Scritture superando le barriere confessionali e vivendo una qualità di incontro che il Concilio Vaticano II si augura con tutte le chiese». Ed è una relazione che non rimuove la memoria, con tutto il bagaglio di incomprensioni e di dolore che si porta dietro. Come nel caso dei valdesi, pochissimi a Padova, eppure valorizzati nel loro essere Chiesa. «Si instaura così una pedagogia dell’umiltà – riflette don Giovanni – Nessuna Chiesa può esercitare il suo predominio su un’altra».
E guardando al futuro, quali prospettive si stagliano? «Di fronte a noi ci sono l’ateismo e l’indifferenza, la crisi della Chiese storiche e della religiosità, un qualunquismo relativista privo di cultura religiosa. C’è una divaricazione della forbice tra poveri e ricchi, l’instaurarsi di una visione fondamentalista e razzista della società. Un imperialismo occidentale silenziato con parole come “globalizzazione”. Ebbene, a tutto questo siamo chiamati a rispondere da cristiani».