Francesco Simoni, per due mandati presidente di Ac Padova. «Sette anni di fatica e meraviglia, con tanti germogli di bene»
Francesco Simoni “legge” il suo mandato di presidente diocesano dell’Ac di Padova
«Sono stati sette anni lunghi». A dirlo è Francesco Simoni, che per due mandati di tre anni ciascuno – anche se il secondo si è allungato causa Covid – è stato presidente diocesano dell’Azione cattolica di Padova.
Tre parole per raccontare la tua esperienza? «È difficile, ma ci provo. Le prime due parole – che per me vanno necessariamente insieme – sono fatica e meraviglia. Sarebbe sciocco dire che un percorso così lungo non sia costato energie, a volte anche difficoltà, qualche lacrima e delusione. Ma su tutto prevale la meraviglia per le tantissime cose belle che si sono realizzate nelle parrocchie, nei vicariati, a livello diocesano. Tanta grazia e tanta meraviglia congiunta alla fatica. La terza parola è speranza. Ho terminato il mandato di presidente diocesano e continuo a camminare nella mia vita, in associazione, nella Chiesa, con un sentimento bello, robusto, di speranza. Sento che non ci sono rimpianti. Avendo visto tanti segni dell’amore di Gesù, tanti germogli dell’azione dello Spirito, posso – anzi, possiamo – guardare con speranza al cammino che ancora abbiamo davanti. Sapendo che ci sono le fatiche, ma dentro le esperienze più difficili il Signore pianta germogli di bene».
Come hai visto cambiare l’associazione? «Se dovessi individuare un elemento, che poi si collega ad altri, è che l’associazione è un po’ più piccola. Non è più la più grande e la più radicata. Tra le associazioni forse lo è, ma non ha più la visione di sé come di una grande forza. Mi verrebbe da dire che ha vissuto quasi una kenosis, uno svuotamento, ma c’è stata dentro in modo positivo. Perché nella diminuzione di numeri e nell’incertezza del suo posto dentro la pastorale ha prevalso l’apertura verso la ricerca e la speranza rispetto alla delusione e al rancore. Questa dinamica ha portato tre “cose”: l’associazione ha saputo dimostrarsi piena di speranza. E piena di resilienza! Penso soprattutto a quanto è stato inventato nel tempo della pandemia. E alla crescita del numero dei tesserati. Secondo elemento: propensione all’apertura e all’innovazione. Penso al desiderio di integrare tutte le persone a prescindere dall’esperienza di vita. Terzo elemento: una minor autosufficienza ha comportato anche un rafforzarsi dei legami dell’associazione con la Chiesa di Padova e con l’associazione nazionale».
Come hai visto cambiare la Chiesa di Padova? «Ho colto fatica, perché c’è un mondo che cambia e cambia il rapporto tra società e dimensione di fede. Questo chiede alla Chiesa di cambiare. Dal cammino del Sinodo, in particolare, raccolgo un elemento: in tanti, dentro al percorso, ci siamo preoccupati di organizzare meglio le attività. Ma è uno sguardo parziale in cui si dimentica che siamo Chiesa anche quando siamo nei nostri contesti di vita. Fede e vita, Chiesa e mondo, non sono due dimensioni separate, ma si stimolano e si rilanciano a vicenda. Sento che c’è bisogno di stare su questo, altrimenti c’è il rischio di uno sguardo introverso e ripiegato su alcuni aspetti organizzativi e molto legati alle “cose di Chiesa”. Poi mi fa soffrire, nel cammino della Chiesa, una certa voglia di sedersi ai margini e dire: ma tanto non cambia niente. Non è vero, non è così! Siamo tutti corresponsabili del cammino. Tutti chiamati a esserci».
Che Ac senti di aver consegnato, insieme alla tua presidenza, nelle mani della nuova? «Abbiamo consegnato l’associazione. È la sostanza viva di cui si nutre il cammino che costituisce il corpo dell’Azione cattolica. L’ho ricevuta in dono e la ricevono in dono a loro volta i membri della nuova presidenza, che sono chiamati a prendersene cura. Raccolgo due frutti, uno dal primo e uno dal secondo mandato: il progetto di formazione degli educatori; ancora ha tanto da dire e dare e merita di essere coltivato e costruito anche nei prossimi anni. Il secondo frutto è la casa di Camporovere, da poco ri-inaugurata, anch’essa un frutto da coltivare. La terza cosa è consegnata a ciascuna delle persone che dentro la Chiesa di Padova si sentono corresponsabili: è il cammino del Sinodo. Adesso inizia la fase più importante...».
Cosa auguri alla nuova presidenza di Ac? «Di essere come gli alberi piantati tra un campo e l’altro. Alberi che mettono le radici un po’ da una parte, un po’ dall’altra. Non sapresti dire se sono parte del campo della Chiesa o del campo del mondo. Auguro alla nuova presidenza di saper stare nel mezzo e di affondare bene le sue radici nella terra che abitiamo e che siamo chiamati a custodire. Lanciando alti rami verso il cielo, la dimensione verticale che siamo sempre chiamati a coltivare. E avendo spazio per ospitare le persone che hanno bisogno di posarsi tra i rami di un albero che resta coltivato, piantato, nutrito, e innaffiato dal Signore. Auguro alla nostra associazione di essere questo».