Caritas. Rinnovarsi partendo dai bisogni reali. Cosa può insegnare il "laboratorio" di Campodarsego
Campodarsego. Le cinque parrocchie del Comune hanno vissuto un percorso in due incontri che si è rivelato punto di partenza verso un servizio più aderente alla vita delle persone e del territorio. «Incontrare nuove prospettive e nuove letture dei temi, ci aiuta a rimotivarci e rinnovare il nostro impegno»
Esistono cinque parole che frenano ogni entusiasmo, impediscono ogni progresso e allo stesso tempo ci allontanano sempre più da quei primi ideali che ci avevano messo in moto. Queste cinque parole sono: “Si è sempre fatto così”.
E se invece fosse possibile conservare sì le ricchezze della tradizione, ma allo stesso tempo riscoprire – attraverso nuove modalità mai pensate prima – il senso più alto dei valori originali e metterli concretamente “in campo”?
Interessante esperimento – destinato a ripetersi in varie parti della diocesi – quello messo in campo nel mese di maggio a Campodarsego su espressa richiesta delle cinque parrocchie (Campodarsego, Fiumicello, Reschigliano, Bronzola e Sant’Andrea) appartenenti allo stesso comune ma divise prima in tre e oggi in due vicariati diversi.
Il 4 e il 20 maggio una trentina di volontari – provenienti sia dal mondo Caritas sia da ambienti sensibili ai temi sociali secondo una prospettiva cristiana – si è data appuntamento con il direttore di Caritas Padova, Lorenzo Rampon, Daniela Crivellaro di Caritas Padova, e il parroco di Campodarsego e vicario foraneo del Graticolato, don Enrico Piccolo.
«Il nostro obiettivo – racconta Daniela Crivellaro – era quello di portare al centro la funzione originaria di Caritas, cioè la funzione pedagogico-pastorale». Come? Non solo con i contenuti, ma anche con il metodo: «Abbiamo rovesciato la prospettiva classica già dal primo incontro. Se di solito si parte facendo parlare i partecipanti per poi far seguire la parte frontale, noi siamo partiti subito con l’esposizione, del direttore Lorenzo Rampon, dei principi più alti che guidano l’azione di Caritas, citando encicliche dei papi, altri documenti del magistero della Chiesa e il pensiero di mons. Nervo sull’alto valore pastorale della carità, ma poi abbiamo chiesto sostanzialmente ai volontari presenti di raccontarci i bisogni dei loro territori, specie dopo quest’anno di pandemia».
Un primo punto, questo dell’analisi dei bisogni, destinato a essere la partenza di un vero e proprio laboratorio di progettazione pastorale in grado di sviluppare – attraverso anche la prospettiva del sogno e del desiderio – azioni concrete, totalmente a misura del territorio, da mettere presto in campo.
«È emerso fortemente il bisogno relazionale che nei nostri territori si rivela in modi molto diversi. Ed è un elemento che mette tutti sullo stesso piano – continua Crivellaro – Non c’è più una divisione netta tra chi aiuta e chi viene aiutato, perché tutti si possono trovare in un momento di bisogno». Solitudine, vecchiaia, malattia, assenza di legami: altre povertà che a loro volta possono essere causa e origine di povertà materiali, ma non meno importanti di queste ultime.
Il primo incontro è proseguito con una domanda: “Quale Caritas sognate?”. Le risposte, iniziate con una discussione in gruppo molto sentita e partecipata, sono sfociate nella riflessione personale con uno speciale “compito a casa”. Ai partecipanti, infatti, è stato chiesto di scrivere la Caritas dei loro desideri in una mail da inviare prima del secondo incontro.
Le risposte sono state poi analizzate e messe insieme, in maniera organica, da Andrea Genuin della diocesi di Belluno-Feltre impegnato in queste settimane in uno speciale tirocinio per approfondire il metodo di lavoro di Caritas. «Ho letto le risposte e le ho raggruppate per varie tematiche, in modo poi da riproporre ai partecipanti le loro risposte perché fossero la base, attraverso l’utilizzo di tre tracce, di proposte concrete su cui lavorare».
Tra i punti toccati in questi desideri ci sono molti riferimenti alla fede che guida l’azione di Caritas, la comunità, intesa sia come luogo che come protagonista in prima persona degli interventi di Caritas e molte idee, già concrete, su come animare il territorio e quale stile testimoniare.
«È stato molto bello e incoraggiante – continua Daniela Crivellaro – perché abbiamo avuto modo di vedere come in tanti sognino “molto in alto”, intravvedendo proposte che non sono i soliti servizi, ma che siano in grado di aprire le porte a contesti molto più relazionali, creando occasioni di mettere di più alla pari le persone».
Nel secondo incontro del 20 maggio, alla luce dei bisogni e dei desideri, ai partecipanti è stato chiesto di immaginare alcune risposte generative, che non si limitino cioè a soddisfare una necessità ma che mettano in moto l’intera comunità: «Abbiamo chiesto “azioni di buon vicinato” – racconta Daniela Crivellaro – che ci permettano di cercare chi nel territorio può darci una mano a rispondere ai bisogni che si manifestano». Anche perché non sempre si hanno le competenze per farlo: «Di fronte a temi come il disagio giovanile, emerso spesso tra i bisogni nella prima serata, abbiamo chiesto di ipotizzare azioni dirette a possibili alleati da coinvolgere per affrontare insieme il problema».
Tra le proposte c’è chi ha pensato a momenti conviviali a cui far partecipare molte più persone della comunità. Ma c’è chi ha pensato a fare delle passeggiate per avvicinare le tante solitudini. Il tutto dunque a servizio dei valori e dei principi ispiratori di Caritas, con lo stesso stile, sì, ma senza etichette. «C’è chi mi ha detto: “Mi piace questo nuovo volto di Caritas. Non solo è una Caritas che vorrei, ma è una Caritas per cui mi impegnerei in prima persona”». Tanto che qualcuno ha anche chiesto di far proseguire questo laboratorio “teorico” in proposte reali da concretizzare nel territorio delle cinque parrocchie del Comune di Campodarsego.
Un successo sorprendente e allo stesso modo incoraggiante che sta convincendo non solo Caritas diocesana, ma anche altre parrocchie e vicariati a mettere in pratica lo stesso formato in futuro. «Per me è stata un’avventura affascinante – confida in conclusione Daniela Crivellaro – Dopo anni di servizio in Caritas a volte rischi di ripetere sempre le stesse cose e replicare gli stessi schemi. Vedere i desideri delle persone, nuove prospettive per costruire proposte e nuove riletture dei temi da altre prospettive aiuta noi operatori stessi a rimotivarci e a rinnovare il nostro impegno».
Nelle comunuità cresce l’offerta di solidarietà
Gli effetti della pandemia si fanno sentire. E si fa sentire anche la solidarietà, tanto che in molte parrocchie e vicariati gruppi di volontari inviano a Caritas diocesana richieste di aiuto per avviare nuove proposte, come centri d’ascolto e servizi di solidarietà. Ma molti sforzi rischiano di non dare tutti i frutti sperati senza un’analisi attenta dei bisogni del territorio: «Spesso abbiamo provato a ragionare con le realtà territoriali – confida Daniela Crivellaro – chiedendo loro di capire quali siano davvero i bisogni che arrivano dalle loro comunità. Unire i temi economici e relazionali ci aiuta a metterci tutti sullo stesso piano, riconoscendo anche in noi, volontari e operatori, dei portatori di bisogno».
Le opinioni. Meno “fare” e più relazioni
«Carità al tempo della fragilità? Buon vicinato? Sentivamo il bisogno, prima di tutto, di trovare un fondamento pastorale dal quale partire». Don Enrico Piccolo, parroco di Campodarsego e vicario foraneo del Graticolato, racconta la genesi dell’esperienza di “formazione laboratoriale” per le cinque parrocchie del Comune. «Il nostro impegno – spiega – era quello di trovare quattro o cinque persone per parrocchia sensibili ai temi della Caritas, ma non ancora impegnate nei servizi che Caritas sta portando avanti. Ci servivano infatti teste nuove per pensieri nuovi». Non per contrapporsi, ma per esplorare: «Anch’io sono cresciuto con questo schema mentale – rivela don Enrico Piccolo – legato alla “Caritas classica” lodevolmente impegnata sul fronte del fare, dagli interventi di sostegno alle classiche borse della spesa». E proprio a Campodarsego esiste un centro d’ascolto a dimensione parrocchiale, non vicariale: «Serve un contorno pastorale perché sia espressione della sensibilità della parrocchia e non un servizio assistenziale rivolto a pochi». Uno stimolo è arrivato dall’emergenza Covid e dal progetto “La Carità nel tempo della fragilità”, nel quale i 6.500 euro messi a disposizione dalla Diocesi per progetti personalizzati sono stati più che raddoppiati dalla generosità dei parrocchiani: «Ci ha dato prova che in parrocchia esistono vivacità e attenzione». E allora il “contorno” pastorale diventa quel centro che tiene tutto unito, una visione pastorale in cui entrino a pieno titolo «catechesi, liturgia, carità, Parola e spiritualità». Dopo l’estate il cantiere riaprirà, allargandosi ancora di più al territorio: «Il mio sogno – conclude don Enrico Piccolo – è quello di coinvolgere le imprese del nostro territorio».
Morena Garbin, della parrocchia di Reschigliano, vicariato di Vigodarzere, spiega: «Ci siamo mossi già da prima per chiedere occasioni di formazione insieme alle altre parrocchie di Campodarsego. Notiamo purtroppo che nei nostri territori sta venendo meno il tessuto sociale. Il Covid ha dato il colpo di grazia in questo senso. Per questo, ciò che Caritas dovrebbe fare oggi è proprio operare nel territorio per ricreare reti di relazioni. Ed è proprio la direzione verso cui vanno gli incontri che abbiamo vissuto». Una direzione che vede parrocchie sempre più attente ai territori che le circondano: «Dialogando tra persone di parrocchie diverse abbiamo confermato la necessità di progettare momenti di inclusione che tendano ad avvicinare le persone nei territori, specie i nuovi arrivati, anche con incontri, feste e manifestazioni. La Caritas, insomma, non dovrebbe limitarsi a gestire le emergenze ma rivendicare la sua funzione educativa per le parrocchie».