Settimana sociale: i francescani e il Mar Piccolo, un tesoro da riscoprire
Viaggio in gommone con i francescani per scoprire un'altra Taranto. Fra Francesco Zecca: "il Mar Piccolo per la città può rappresentare uno spazio rigenerativo"
(da Taranto) Metti una giornata in cui il sole compare all’improvviso e uno sparuto manipolo di giornalisti ha giusto quell’”ora d’aria” – mentre i convegnisti sono riuniti a porte chiuse al PalaMazzola attorno ai Tavoli di lavoro della Settimana sociale – per seguire un evento fuori dal programma delle quattro giornate. Metti un gruppo di intraprendenti francescani che ci tengono a mostrarti un’altra Taranto. Il risultato è una scoperta inattesa, uno squarcio di bellezza che rende finalmente merito alla città dei due mari troppo spesso incasellata in un giudizio negativo che la ingabbia come città più inquinata d’Italia. E’ grazie a Francesco Zecca, coordinatore del Centro Giustizia Pace e Integrità del Creato dei Frati Minori del Salento, e Stefano Vinci, dell’Università di Bari( Dipartimento jonico di Taranto), che il Sir insieme ad altre testate cattoliche è salito su un gommone per un giro nel Mar Piccolo, una sorta di città nella città che per i turisti evoca la rinomata produzione di cozze e ostriche ma per i tarantini è, o meglio dovrebbe tornare ad essere, un pezzo di storia e di vita di cui riappropriarsi, e non solo per non consegnarsi ad essere per sempre nell’immaginario collettivo soltanto la città dell’Ilva. Fino alla costruzione degli impianti dell’Italsider (poi Ilva, oggi Arcelor-Mittal) il Mar Piccolo era il bacino di produzione di ostriche più grande d’Europa e grazie ai citri – polle naturali d’acqua sorgiva salmastra dolce e fresca, un vero e proprio fiume sotterraneo che affiora a mare – dispensatore di una qualità di ostriche rinomata in tutto il mondo per la loro piccola taglia e particolare sapidità. Sono gli anni Cinquanta – raccontano i francescani – gli anni in cui la vocazione marittima di Taranto si consegna definitivamente al primato della produzione industriale, portando a compimento un processo iniziato a fine Ottocento dall’insediamento dell’industria militare marittima.
Le tradizionali attività (molluschicoltura, agricoltura, artigianato e industria manifatturiera) vengono gradualmente superate dall’industria militare e l’ambiente naturale, del Mar Piccolo in particolare, si altera profondamente: il deterioramento della qualità delle acque del bacino limita la gestione delle risorse naturali, quali quelle dei rinomati molluschi. Soltanto la costruzione del Regio Arsenale, nel 1883, lungo le sponde meridionali del Primo Seno del Mar Piccolo determina il riempimento di circa 45 ettari di mare. L’accumulo di rifiuti e l’inquinamento dei reflui urbani e degli scarichi industriali provoca nel 1913 una riduzione dei molluschi allevati fino al 50% della produzione annuale. Durante la Grande Guerra, tutta la città di Taranto viene militarizzata: le località del Mar Piccolo, Cimino e Buffoluto ospitano truppe inglesi e francesi e persino i conventi furono sono utilizzati come caserme. Il Mar Piccolo diventa il fulcro di attività di enormi proporzioni dell’industria navale bellica. Si deve all’opera di Attilio Cerruti, come racconta uno dei due quaderni finora pubblicati dal Centro Giustizia Pace e Integrità del Creato dei Frati Minori del Salento – se la molluschicoltura nel Mar Piccolo è stata salvata.
Oggi, assicura fra Zecca, “Il Mar Piccolo, meraviglioso laboratorio naturale di ricerca, ma anche fonte di reddito grazie alla molluschicoltura, può rappresentare per la città uno spazio rigenerativo, ricreativo e di sviluppo di vitale importanza. Il mare dovrebbe rappresentare l’anima e la storia della città, una risorsa economica fondamentale per lo sviluppo ed essere parte essenziale dell’identità culturale”.
Paradossalmente, però, i tarantini non vivono i loro mari: “Il rapporto tra Mar Piccolo e città dovrebbe essere viscerale, nutriente, di custodia, ed invece è emerso il grave inquinamento, a cui hanno contribuito in tanti. Ora si sta procedendo alla bonifica ma è essenziale che a fianco all’eliminazione delle carcasse di auto, letti e la chiusura di discariche si inneschi un’altra bonifica, molto più importante e profonda, che è culturale. La città deve recuperare il legame con il suo mare, riconciliarsi con esso, imparando a guardarlo con stupore, a viverlo con rispetto, a studiarlo, a conoscerlo, ad amarlo”. Per far questo, l’auspicio dei francescani, Taranto deve recuperare la pregnanza di due immagini: la prima è quella di due seni, a ridosso della città, che sembrano nutrirla, come una madre nutre e si prende cura del suo bambino. La seconda è quella per cui il Mar Piccolo dall’alto si presenta a forma di otto, che è il segno dell’infinito. Un ’immagine, questa, che richiama l’opera dell’artista Michelangelo Pistoletto dal titolo “Il Terzo Paradiso”. Il primo è quello in cui gli esseri umani erano totalmente integrati nella natura. Il secondo è il paradiso artificiale, che genera insieme agli effetti benefici processi irreversibili di degrado. Il Terzo Paradiso, infine, è la connessione armonica tra l’artificio e la natura, tra il degrado prodotto e la natura che cerca di riappropriarsi dei suo spazi. Se è vero che Taranto è “un diamante in frantumi”, come la descriveva Pier Paolo Pasolini, è da qui che deve partire l’opera di ricostruzione della bellezza.