Salmo 146. Siamo di fronte ad un salmo che ci responsabilizza

Il desiderio di ricambiare l’infinita bontà del Signore, che è senza età, con il dono del tempo che ognuno ha a disposizione

Salmo 146. Siamo di fronte ad un salmo che ci responsabilizza

Stiamo giungendo al termine del libro del Salterio che abbiamo commentato “in famiglia” quasi per intero. Gli ultimi cinque salmi, dal 146 al 150, sono ciascuno incorniciati da un “alleluia”, così che questa parola di lode viene ripetuta dieci volte in quello che nella liturgia ebraica è chiamato “Hallel quotidiano” perché viene proclamato tutti insieme ogni mattina. Alcuni esegeti sostengono che queste dieci volte potrebbero richiamare quelle in cui, nel racconto della creazione del mondo, compare, nel libro della Genesi, l’espressione “Dio disse”; oppure potrebbero riecheggiare le “dieci parole” dell’alleanza sul monte Sinai, così come le leggiamo nel libro dell’Esodo e nel Deuteronomio. Quello che conta sottolineare è il desiderio di chi prega di affidarsi totalmente a un Dio che, fin dalle origini, è fedele al suo amore per l’uomo: “Alleluia. Loda il Signore, anima mia: loderò il Signore finché ho vita, canterò inni al mio Dio finché esisto”. Immaginando che queste parole vengano pronunciate dai membri della famiglia riuniti insieme – magari per un’occasione speciale, senza la pretesa che ci si riesca ogni giorno – possiamo notare il desiderio di ricambiare l’infinita bontà del Signore, che è senza età, con il dono del tempo che ognuno ha a disposizione. Che bella testimonianza, per esempio, riceve un nipote sentendo suo nonno che intende lodare il Signore fino a quando sarà vivo, senza la pretesa arrogante di un’eternità che non gli appartiene? È chiaro che si tratta di una consapevolezza – quella della nostra caducità – che viene aumentando man mano che invecchiamo, ma questa consapevolezza che i nostri giorni sono contati e che non sappiamo quando sarà la fine è una ricchezza che la Bibbia comunica molto frequentemente e che è un bene seminare presto nei ragazzi, affinché poi non manchi nelle loro coscienze quando saranno adulti. Di pari passo con questa umiltà strettamente connessa al nostro essere creature, il salmo invita a non confidare nei potenti, che sono pur sempre solo uomini con progetti spesso senza fondamenta, quando non purtroppo anche distruttivi (cfr. vv. 3-4) e a innestare le radici della propria felicità nel Signore: “Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe: la sua speranza è nel Signore suo Dio” (v. 5). Ancora viene da immaginarsi un ragazzo che chieda a suo papà o a suo nonno: “Dimmi perché posso fidarmi del Dio dei nostri padri? Dimmi perché posso essere felice che sia lui il nostro Signore?”. E allora, pazientemente, il salmista, come un saggio narratore ricorda ai suoi ascoltatori quelli che potremmo chiamare i motivi della propria fede. Crediamo in Lui “che ha fatto il cielo e la terra, il mare e quanto contiene, che rimane fedele per sempre, rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati. Il Signore libera i prigionieri, il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti, il Signore protegge i forestieri, egli sostiene l’orfano e la vedova, ma sconvolge le vie dei malvagi” (vv. 6-9). Il nostro Dio è questo e non un altro e non può venir meno a queste sue caratteristiche. Quella esposta è una sintesi di azioni e predilezioni che caratterizzano Dio in tutto il racconto biblico, trovando compimento nella vita di Gesù. All’inizio della sua vita pubblica nella sinagoga di Nazaret, leggendo il passo di Isaia, o quando Giovanni dal carcere gli manda a chiedere se sia lui il Messia, è a queste azioni che Gesù stesso fa riferimento perché sia riconosciuto come figlio di Dio. Egli compie la volontà del Padre con un amore così e ci chiede a sua volta di imitarlo. La misura della nostra testimonianza di fede sta nel trasferire dalla lode liturgica alla vita quotidiana la concretezza di questi requisiti e sentirci anche noi chiamati a riconoscerli e a viverli. Molte sono le domande che dalla preghiera potrebbero sorgere fra le mura domestiche: come riconosciamo nel Creato la presenza di Dio e che comportamenti ci ispira questa consapevolezza? Cos’è per noi e come perseguiamo la giustizia? Non siamo forse noi quei prigionieri che Dio libera da vizi che sono come delle carceri? E ancora: possiamo dire di aver conosciuto persone che, come se prima fossero state cieche, hanno ricevuto un nuovo sguardo sulla vita attraverso la conoscenza del Signore? E se sì, abbiamo avuto il coraggio e la gioia di annunciarlo? Quale ruolo occupano nelle nostre scelte gli stranieri, le persone che hanno fame, coloro che sono caduti e perfino quelli che il salmo chiama “malvagi” perché hanno chiaramente perso la strada? Siamo di fronte ad un salmo che ci responsabilizza, perché la felicità che promette a chi lo canta non si può vivere se non facendosi cooperatori pazienti e instancabili di un Dio che costruisce il suo regno di pace chiamandoci ogni giorno a fare la nostra parte.

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Fonte: Sir