Pellegrini di questo mondo. Sacro e profondamente umano nella scelta di mettersi in cammino verso i luoghi della fede
La decisione di mettersi in cammino ha radici antiche, quelle del desiderio di raggiungere i luoghi sacri, ma anche quella dell’urgenza interiore di abbandonare il nostro prima per avviarci verso il cambiamento
La strada del pellegrino non è semplice da definire, anzi, alcuni ritengono che non ci siano parole in grado di razionalizzare lo spirito del viaggio di fede. Colui che passa attraverso le terre, secondo l’etimologia del termine, sia che lo faccia per espiazione, o per mantenere un voto, o per sete di conoscenza, si accorge presto che è anche nel viaggio stesso il senso tanto cercato. San Paolo ha spesso parlato del nostro essere “stranieri e pellegrini sopra la terra” (Ebrei, 11, 13) come un incessante allontanamento dalle sirene del mondo; un filosofo dello spessore di Gadamer aveva aggiunto che mettersi in cammino non vuol dire solo trovare e fermarsi ma apprendere e crescere spiritualmente negli incontri, nella fatica, nella preghiera, nei giorni e nelle notti. la scelta del luogo è importante, certamente, sia esso Lourdes, o Loreto, o Gerusalemme, o Santiago de Compostela, o Fatima, Roma o Assisi o tanti altri luoghi divenuti meta spirituale. Ma c’è anche una componente innata, perché la decisione di mettersi in cammino ha radici antiche, quelle del desiderio di raggiungere i luoghi sacri, ma anche quella dell’urgenza interiore di abbandonare il nostro prima per avviarci verso il cambiamento: è accaduto a Benedetto da Norcia, che prima di accettare l’organizzazione stabile, ne aveva fatte di miglia. Eppure apparentemente non gli mancava nulla, anzi. E Francesco d’Assisi ha intrapreso viaggi (e anche lui ne avrebbe potuto fare a meno) non solo verso santuari o capitali della fede, ma alla ricerca di una autenticità che il camminare a contatto con la natura può aiutare a trovare.
Perché uno degli elementi fondanti del pellegrinaggio è una autenticità che si sposa con l’addio al superfluo e con il ritorno all’essenziale. La strada verso quel sepolcro che ha cambiato lo spirito del mondo, che conduce a Gerusalemme, o verso il luogo dell’Origine che ci porta a Betlemme, o quella nei luoghi del martirio dei due santi che hanno portato la Parola al centro del mondo di allora, diretta a Roma, o quella della rivelazione ai semplici, ai poveri, ai rappresentanti di una creduta periferia della specie, a Lourdes come a Fatima, o verso il luogo di san Giacomo, il “campo della stella” (l’eremita Pelayo nell’813 vide una pioggia di stelle prima della rivelazione in sogno fatta dal santo stesso del luogo della sua sepoltura) è anche interiore. E come aveva capito bene un altro camminatore come Giovanni Paolo II, una parte del carisma del cammino è proprio nel camminare, nel viaggio: quando si torna indietro ci si accorge che una parte di noi è rimasta lì, nel luogo, e in quella lunga e faticosa strada.
Il pellegrinaggio è tutto questo, ed ecco spiegato il motivo della persistenza del suo fascino ai tempi del web, della velocità acritica, de tutto e subito. E se ci si riflette, molte grandi opere d’occidente sono in realtà viaggi sacri: il Dante della Commedia e il John Bunyan, autore nel Seicento di “The Pilgrim’s progress”, il Viaggio del pellegrino, hanno narrato il lungo cammino non solo fisico della ricerca della verità oltre gli inganni delle apparenze. Un cammino che non si è mai fermato e che rappresenta profondità celate nel nostro essere. E nel mistero dell’Altro.