Essere cristiano o cattolico, afferma Francesco, non è un'etichetta: "Bisogna parlare la stessa lingua di Gesù, quella dell'amore"

Il cristiano è colui che non si lascia “abbattere dai tragici eventi”: sono “occasione di dare testimonianza”.

Essere cristiano o cattolico, afferma Francesco, non è un'etichetta: "Bisogna parlare la stessa lingua di Gesù, quella dell'amore"

Un richiamo alla speranza e alla pazienza le parole che Gesù pronuncia davanti al tempio a Gerusalemme. Luca ci fa riflettere sulle “cose ultime”, sul “giorno rovente come il fuoco”, come scrive il profeta Malachia. Parole che sono un invito a guardare all’orizzonte della storia non come fuga e disimpegno dal tempo presente, ma con la prospettiva, appunto, della speranza. E quelle parole pronunciate da Gesù davanti al tempio di Gerusalemme – “non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta” – sono un modo per dire che le costruzioni umane, anche le più sacre, sono passeggere, certezze definitive rivelatesi poi effimere. Anche Paolo, l’apostolo delle genti, nella seconda lettura ci invita a riflettere sul tema della speranza e dell’operosità. Alla comunità di Tessalonica scrive: Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza, per questo raccomanda che i fratelli si tengano lontani da chi manifesta una vita disordinata. Nel suo Vangelo, Luca rinnova l’invito a vivere il tempo presente con sapienza e discernimento, a non farsi confondere dai falsi messia, da quei profeti di sventura verso i quali papa Roncalli, aprendo il Concilio ecumenico Vaticano II, manifestava il suo dissenso. La pagina di Luca non va letta come annuncio di una fine disastrosa, ma invito a guardare al futuro, per vivere il tempo presente; non una fuga e un disimpegno dalla realtà, dunque, ma un diverso modo di vivere quanto ci è dato.

È l’attesa del tempo nuovo, che non è fatta di paure che paralizzano, ma di fiducia: quella delle donne che hanno atteso con le lanterne colme d’olio; di Zaccheo che cercava di vedere Gesù; o, infine, della donna che sfiora il lembo del mantello.

Celebra in San Pietro la messa nella giornata dedicata ai poveri, si sofferma, Papa Francesco, sulle parole del Vangelo, e spiega che a crollare, “a passare, sono le cose penultime, non quelle ultime: il tempio, non Dio; i regni e le vicende dell’umanità, non l’uomo. Passano le cose che, spesso, sembrano definitive, ma non lo sono”; realtà grandiose, dice ancora il Papa, che “a noi sembrano fatti da prima pagina, ma il Signore li mette in seconda pagina. In prima rimane quello che non passerà mai: il Dio vivo, infinitamente più grande di ogni tempio che gli costruiamo, e l’uomo, il nostro prossimo, che vale più di tutte le cronache del mondo”. All’Angelus invita a non seguire “chi diffonde allarmismi e alimenta la paura dell’altro e del futuro, perché la paura paralizza il cuore e la mente”. A non lasciarsi “sedurre dalla fretta di voler sapere tutto e subito, dal prurito della curiosità, dall’ultima notizia eclatante o scandalosa, dai racconti torbidi, dalle urla di chi grida più forte e più arrabbiato, da chi dice ‘ora o mai più’. Questa fretta, questo tutto e subito non viene da Dio”. Pazienza, dunque, non rassegnazione. Paziente è chi guarda con speranza, e conosce il significato della pietra rotolata davanti al sepolcro vuoto.

Il cristiano è colui che non si lascia “abbattere dai tragici eventi”: sono “occasione di dare testimonianza”. Non è un “discepolo dell’io, ma del tu. Non segue, cioè, le sirene dei suoi capricci, ma il richiamo dell’amore, la voce di Gesù”, dice Francesco in San Pietro. I poveri, aggiunge, “sono preziosi agli occhi di Dio perché non parlano la lingua dell’io: non si sostengono da soli, con le proprie forze, hanno bisogno di chi li prenda per mano”.

Essere cristiano o cattolico, afferma ancora il vescovo di Roma, non è un’etichetta: “bisogna parlare la stessa lingua di Gesù, quella dell’amore, la lingua del tu”. Il discepolo non è schiavo di paure e angosce, ma è chiamato “ad abitare la storia, ad arginare la forza distruttrice del male, con la certezza che ad accompagnare la sua azione di bene c’è sempre la provvida e rassicurante tenerezza del Signore”. È chiamato a “collaborare alla costruzione della storia”, diventando “operatore di pace e testimone della speranza in un futuro di salvezza e di risurrezione”. La fede, afferma il Papa, “ci fa camminare con Gesù sulle strade tortuose di questo mondo, nella certezza che la forza del suo Spirito piegherà le forze del male, sottoponendole al potere dell’amore di Dio”. È il messaggio dei martiri cristiani dei nostri tempi, uomini e donne di pace, che ci consegnano “il Vangelo dell’amore e della misericordia”: rispondere “all’odio con l’amore, all’offesa con il perdono”.

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Fonte: Sir